Traviata transgender, tanti applausi ma l’allestimento delude

ASCOLI - Scene hard praticamente inesistenti. Fa paura l'uomo in mutande? Soddisfatto il presidente della Fondazione Rete Lirica Ciabattoni: «Il pubblico è stato per tutto il tempo molto attento forse perché coinvolto dalla particolare sensibilità e bravura dei protagonisti che sono stati lungamente applauditi. Anche qui, come per il Macbeth, un successo della nostra Rete Lirica»
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di Franco De Marco

 

Il cliente ha sempre ragione, si dice. E partendo da questo assunto, valutando i ripetuti e abbondanti applausi, alla fine di ogni aria e alle passerelle finali, si può dedurre che “La Traviata” andata in scena sabato sera nel Teatro Ventidio Basso di Ascoli è stato un successo. Al pubblico è piaciuta.  Ma non si può parlare di successo artistico almeno questo è il nostro giudizio.  Nel suo complesso lo spettacolo ha deluso e non può certo annoverarsi tra i più riusciti di quelli proposti dalla Fondazione Rete Lirica delle Marche.

 

Di questa “Traviata” transgender – passerà così alla storia – del regista Luca Baracchini si è scritto in lungo e in largo, prima in Lombardia poi nelle Marche, e l’atteggiamento dei Comuni di Ascoli e di Fermo, che hanno ritenuto di dover offrire agli studenti un’anteprima solo in forma di concerto perché potevano rimanere turbati dall’idea registica, si è rivelato poco aderente alla realtà artistica. “La Traviata” transgender ad Ascoli e a Fermo è diventata, in negativo, un caso rimbalzato sulla stampa nazionale.

 

Beh, le scene hard di questo allestimento, che ha tentato di aggiornare la vicenda che nel 1853 fece scalpore perché per la prima volta si metteva in scena l’amore di una prostituta con un figlio della società borghese, sono state pochissime a meno che un uomo in mutande (il mimo) possa creare traumi. Di sicuro gli studenti non avrebbero subito uno shock. Probabilmente allo spettatore ignaro delle polemiche pregresse non sarebbe stato nemmeno facile capire che quel mino fosse l’alter ego di una donna tormentata per la sua identità di genere.

 

La Compagnia di canto ha visto svettare solamente il tenore Valerio Borgioni (Alfredo Germont) con un bellissimo timbro, dizione perfetta, voce squillante e disinvoltura nei vari passaggi. Il soprano messicano Karen Gardeazabal ha dato vita ad una Violetta Valery, sì tormentata, ma a volte troppo strillata e con fraseggio non emozionante. Il baritono Andrea Borghini, nel ruolo di Giorgio Germond, non era in gran forma: esecuzione con poca espressività. Scenografia spartana, basata su pochi neon colorati per creare atmosfera. L’orchestra, diretta da Enrico Lombardi, seppur apprezzabile per la lettura filologica dell’opera verdiana, in alcuni passaggi è parsa un po’ troppo lenta e senza vigore. Bene il Coro di Fano. Ma ognuno la può pensare come vuole.

 

«Ventidio Basso eccezionalmente pieno – ha commentato al termine il presidente della Fondazione Rete Lirica delle Marche, avvocato Francesco Ciabattoni – il pubblico è stato per tutto il tempo molto attento forse perché coinvolto dalla particolare sensibilità e bravura dei protagonisti che sono stati lungamente applauditi. Anche qui, come per il Macbeth, un successo della nostra Rete Lirica».

 

Il mondo è bello perché è vario.

 

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