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Le difese orientali della città: la storia del Forte Malatesta

ASCOLI - Anticamente la città era difesa da una solida cinta muraria e da diverse strutture militari. Il focus è sull'imponente costruzione eretta in zona Porta Maggiore. Nel piazzale antistante una delle ultime condanne a morte: fu ghigliottinato tale “Caporà” di Spelonga. Il complesso ha cambiato destinazione d’uso: non più arcigna costruzione militare ma struttura museale polivalente
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Il Forte Malatesta (foto G. Vecchioni)

 

di Gabriele Vecchioni

 

Abbiamo visto, in articoli precedenti, che la città di Ascoli disponeva, nel Medioevo, di strutture difensive potenti, come vedremo in seguito. L’articolo si occuperà delle difese orientali della città, in particolare della fortezza malatestiana e del ponte ed essa collegato.

Il Forte Malatesta e il Ponte di Cecco dal Ponte Maggiore (foto G. Vecchioni)

 

Nell’area in esame esisteva, al tempo dei Romani l’impianto termale della città, edificato in una zona dove erano presenti opere difensive già all’epoca dei Piceni; qui passarono le forze romane di Gneo Pompeo Strabone che conquistarono Ascoli nel 91 AC (Guerra sociale). Le opere ricostruite furono danneggiate dopo l’invasione dei Longobardi e, dopo la riparazione, nuovamente diroccate nel 1242 dalle truppe di Federico II. Cent’anni dopo (1349) Galeotto I Malatesta, all’epoca signore di Ascoli, fece ricostruire la rocca. L’attuale fortezza corrisponde, come vedremo nel corso dell’articolo, alla sistemazione voluta dal Papa Paolo III Farnese, come ricorda l’iscrizione murata all’esterno dell’edificio.

 

Il Forte Malatesta. Le opere di difesa urbana, oltre alla cinta muraria, alle torri rompitratta del lato occidentale, del Càssero a monte (la Rocca, che diventerà la Fortezza Pia nel 1564, vent’anni dopo l’erezione del Forte), al “castello de isola” (futuro San Pietro al Castello) e alle opere di difesa passiva che dovevano proteggere le porte di accesso alla città, figurava l’imponente Forte Malatesta (la Rocchetta o Càssero a mare, essendo rivolto verso est), costruito – e (ri)costruito più volte – sulle rive del Ca­stel­la­no, a guardia prima del guado e poi del ponte che lo attraversava e del lato orientale della città.

Ascoli a volo d’uccello. Il Forte è indicato da una circonferenza rossa (foto D. Galiè)

 

Il castello deve il suo nome a Ga­leotto Malatesta, che aveva guidato le milizie ascolane contro Fermo e nel 1349 aveva fatto sistemare un’opera già esistente. Nelle Cronache Ascolane si legge, infatti, che «… nel medesimo anno il si­gnore Galiocto [è Galeotto Malatesta, NdA] fe fare in nascoli la quale è quella dal casare a monte [l’attuale Fortezza Pia] et l’aldra da quella del casaro a ponte Magiore [l’attuale Forte Malatesta]».

 

In realtà, la fortezza ha una storia più antica; ripercorriamola brevemente.

 

Molti storici locali hanno ubicato, nel luogo dove ora sorge l’edificio del Forte, le antiche Terme cittadine. Di questa struttura, sicuramente monumentale, non esiste traccia archeologica, solo i toponimi la ricordano (Via delle Terme e, nell’Ottocento, l’ampio spazio della Piazza delle Terme): il motivo è forse legato al fatto che esse furono inglobate, nel Medioevo, nel complesso delle fondazioni del forte.

Due piante delle città, nella prima (1898) c’è ancora la Piazza delle Terme, scomparsa nella seconda (TCI, 1924).

La rocca deve il nome a Galeotto Malatesta, signore di Rimini, chiamato nel 1347 dagli Ascolani per guidarli nella lotta contro Fermo. Dopo la vittoriosa conclusione delle ostilità, Malatesta fece sistemare la «roca a ponte majore» e, successivamente, diventò un temuto tiranno fino a quando gli abitanti della città lo cacciarono (1353) e rasero al suolo uno dei simboli del suo potere; per il Rodilossi, l’abbattimento si ebbe nel 1376, durante la rivolta contro Blasco Gomez Albornoz che governava la città al posto del più famoso zio Cardinale Gil Álvarez Carrillo de Albornoz (autore delle Constitutiones egidiane).

La Pianta del Ferretti. L’area del Forte Malatesta è identificata con una circonferenza rossa

 

Il luogo rimase in abbandono per diverso tempo, anche perché la direttrice viaria principale per uscire dalla città verso la vallata del Tronto era cambiata (alla fine del Trecento fu costruito il Ponte Maggiore sul Castellano che, di fatto, tagliava fuori la via passante per il Ponte di Cecco.

 

La chiesa di Santa Maria del Lago. Con la costruzione del Ponte Maggiore, la via del Ponte di Cecco perse importanza, e così la funzione difensiva della Rocchetta; il fatto permise, a «Fra’ Cola di Turso, influentissimo eremita», assai stimato in città, di dare impulso a iniziative per la costruzione di una chiesa in quel sito, «tra le mura dirute del Forte Malatesta». La chiesa prese il nome di Santa Maria del Lago e all’inaugurazione (1511) erano presenti «fra huomini e donne sessanta milia persone», come riferisce il Marcucci, (sec. XVIII).

L’ingresso del forte (foto I luoghi del silenzio)

 

«La denominazione del lago derivò dalle antiche terme ivi esistenti fin dai tempi della Repubblica, provvedute dalle acque sulfuree del Castrum transsSuinum, oggi Castel Trosino… (G. Stafforello, 1898)»

 

La trasformazione. La conformazione attuale della costruzione, con la caratteristica pianta a stella irregolare, si deve a Antonio Giamberti detto Sangallo il Giovane che la realizzò nel 1543. Giovanni Battista Carducci, architetto fermano profondo conoscitore di cose ascolane, nel 1853 scrisse della Fortezza di Porta Maggiore che il Sangallo «A detta del Vasari, fece miracoli, avendola “condotta al termine in pochi giorni che ella si poteva guardare, il che gli Ascolani ed altri non pensavano che si dovesse poter fare in molti anni: onde avvenne, nel mettervi cosi tosto la guardia, a che que’ popoli restarono stupefatti, e quasi nol credevano”».

Nel cortile interno, i resti dell’ingresso della chiesa di Santa Maria del Lago (foto I luoghi del silenzio)

 

La chiesa, sconsacrata, diventò il mastio della fortezza, conservando alcune caratteristiche architettoniche (la cupola e la lanterna, cioè la parte apicale finestrata); anche la torre fu salvata e, come scrisse (1853) Giovanni Battista Carducci, fu affiancata «da due ali di elevato fronte, ma di magrissima profondità, terminanti in parti angolari acutissimi e direi quasi taglienti».

 

Il forte fu restaurato nel 1600 e alla fine del sec. XVIII diventò una caserma militare. Infine, nella prima metà dell’Ottocento divenne carcere giudiziario; fu dismesso dopo la costruzione, nel 1980, del carcere di massima sicurezza (l’attuale Casa circondariale di Marino del Tronto). Per quanto concerne la sua funzione di carcere, nel piazzale antistante il Forte fu eseguita una delle ultime condanne a morte comminate nel nostro Paese: fu ghigliottinato tale “Caporà” (Giuseppe Ciancotti) di Spelonga di Arquata, reo di aver rapinato e ucciso tre viandanti lungo la Via Salaria.

La porta di un’antica cella (foto I luoghi del silenzio)

 

Dalla Guida della Provincia (1883) sappiamo che «Questa Fortezza comunicava colla sponda opposta del Castellano a mezzo di un ponte creduto opera medievale e così chiamato dal nome di un capomastro abruzzese [tale Mastro Francesco Aprutino, NdA]».

 

Il Porte di Cecco. La Via Salaria, la strada che collegava Ascoli a Roma travalicando gli aspri rilievi appenninici, entrava in città passando per la Porta Gemina (o Romana); nel Medioevo, l’ingresso fu “spostato” aprendo un arco nella cinta muraria urbica ma la direttrice viaria rimase la stessa. La Salaria diventava il decumanus maximus e usciva dalla città per il ponte che scavalcava il Castellano, nel punto dove era più agevole il guado.

Uno degli angoli acuti del Forte (spiegazione nel testo, foto I luoghi del silenzio)

 

Il ponte, con due archi disuguali, di grande impatto visivo, è indissolubilmente “legato” al vicino Forte Malatesta (eretto molti secoli più tardi) ed è conosciuto dagli ascolani come il “Ponte di Cecco”. Vediamo perché. Una tenace tradizione popolare vuole che Francesco Stabili, alias Cecco d’Ascoli, durante le sue ricerche esoteriche sia venuto in possesso del Libro del Comando, lo strumento che permetteva di dominare le forze soprannaturali. Sarebbe stato il Diavolo in persona a costruire, in una sola notte, il Ponte sul Castellano: l’altro nome del Ponte di Cecco è, infatti, “il ponte del Diavolo”. Non è una leggenda particolarmente originale (esistono diversi ponti “del Diavolo” nel nostro Paese, spesso costruiti in una sola notte) ma dimostra come il ricordo del concittadino fosse vivo tra gli ascolani.

II ponte di Cecco e Maggiore in un’antica stampa (sec. XVIII, attr. B. Orsini)

La spiegazione relativa alla nascita della leggenda del ponte di Ascoli (e di altre simili) la dà Cristina Paoletti in un articolo (1980) della rivista Flash: «L’origine di questa leggenda si spiega se si riflette sulla funzione del ponte: esso è la via di superamento di un ostacolo altrimenti insormontabile come il corso di un fiume. È perciò un’opera grandiosa e simbolicamente magica, attribuibile soltanto agli straordinari poteri di un mago, un occultista, uno stregone [Cecco d’Ascoli era considerato tale, NdA]».

A sinistra, il Ponte di Cecco (foto anni ’30, Comune Ascoli Piceno); a destra, la passerella lignea che sostituiva il ponte minato dai tedeschi in ritirata (foto anni ’40 del Novecento, Comune Ascoli Piceno)

 

Al di là di storie poco credibili, il ponte (quello originario) è opera romana, probabilmente dell’ultimo periodo repubblicano, e fu restaurato in epoca medievale, a servizio del Forte Malatesta. Il ponte è costituito da due archi disuguali; quello minore (a sinistra, guardando dal Ponte Maggiore) si appoggia su una rupe che funge da pilastro e l’altro si regge su una spalla, cioè su una struttura architettonica di sostegno. Come visto in precedenza, nei pressi del ponte sorgevano le terme cittadine (ricordate dai toponimi “Via delle Terme” e “Santa Maria del Lago”, dal latino lacus, termine che indicava un bacino idrico) che utilizzavano l’acqua sulfurea provenienti dalle fonti salmacine di Castel Trosino. Il Marcucci, ancora nel 1776, descriveva la sala delle terme (un «camerone con vasche all’interno ed una piccola fonte»).

Il Forte in una stampa da La provincia di Ascoli Piceno, 1898

 

Il ponte fu minato e fatto saltare in aria, nel 1944, dai tedeschi della Wehrmacht in ritirata; fu ricostruito nel 1971, utilizzando il materiale originario, anche se ormai da tempo era stato “sostituito” dal Ponte Maggiore.

 

L’ultima destinazione del complesso. Oggi il Forte ricostruito ha perso la sua valenza militare per assumerne una culturale. Ce lo ricorda Giuseppe Marucci in un articolo di qualche anno (2010) fa ma “attuale”: «La nuova destinazione d’uso prevede l’utilizzo del Forte come museo stabile dell’Alto Medioevo localizzato all’ultimo piano per un totale di sei ambienti comprendendo anche l’ultimo livello della chiesa della Madonna del Lago. La “Sala degli Ori di Castel Trosino” sarà l’elemento centrale di tutta l’esposizione sia per l’importanza dei reperti sia per il fatto che l’esposizione avverrà nell’ambiente a maggiore valenza storico monumentale di tutto il Forte. Al primo livello oltre alla biglietteria è presente un ambiente destinato a sala conferenze. Il secondo e il terzo livello sono destinati ad attività culturale di carattere non permanente quali mostre, esposizioni, convegni ed incontri per un totale di circa 700 metri quadrati».

 

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