di Walter Luzi
Al maestro Mario Capriotti, ottantasei anni compiuti da poco, più di un suo allievo ha confidato che, insegnamento di passi di ballo a parte, la sua compagnia, da sola, è già di quelle che fanno bene all’anima. La voce deve essersi sparsa. Sì, perché da questo inverno, anche il maestro figura fra i volontari che operano, proprio con il ballo, nella casa circondariale di Castrogno, nel teramano. Alla sua età, per tutta una serie di motivi, ci vuole un bel coraggio. Che a lui, d’altronde, non è mai mancato. La proposta gliela fa la sua amica Maria Pia Scoccia, che lo conosce bene da anni. Ascolana, sessantatré anni, Oss in una casa di cura privata, ha fatto in parrocchia, collaborando con la Caritas, le prime esperienze di volontariato.
Maria Pia opera già in quel carcere come volontaria insieme alla pugliese, ma trapiantata a San Benedetto da dodici anni, Mariella Ciampolillo. Fanno parte entrambe dell’associazione cristiano-carismatica CIMAP The Glory, un Movimento che opera in stretta collaborazione con il mondo cattolico. Attraverso la preghiera e l’Eucarestia, ma, soprattutto, l’amore in Dio e nel Prossimo, attraverso la via del riscatto. Entrano nella struttura grazie ai Vincenziani, il gruppo di volontariato ispirato a Don Vincenzo De Paoli, che fa opere di carità indirizzate a poveri e bisognosi. Operano nella casa circondariale teramana di Castrogno ormai da un anno e mezzo, sia nelle sezioni maschile che femminile, insieme ad altre realtà cattoliche, evangeliche, cristiano-millenariste e musulmane.
«Il primo incontro di preghiera – racconta Mariella – lo abbiamo fatto nel reparto maschile di massima sicurezza. È stato molto gratificante, sia per noi che per loro, perché il rapporto si è fatto, via via, sempre più confidenziale. Interrotto solo da un trasferimento, pure positivo per loro, in una struttura che offriva la possibilità di poter lavorare durante la detenzione».
I progetti proposti alla nuova direttrice, Maria Lucia Avvantaggiato, sono stati scolastici, con corsi di studio tenuti anche da docenti universitari dell’ateneo teramano, e ludico-sportivi, calcio in testa. Ma anche di laboratori propedeutici ad un auspicabile, futuro reinserimento degli ex detenuti nel mondo del lavoro e nella società civile. Come quelli di orticoltura, giardinaggio, sartoria, igiene, parrucchieria, e, da ultimo, come detto, il ballo, ristretto al solo settore femminile. Sulla proposta di Maria Pia, il vecchio maestro ci riflette per un po’. Il desiderio di misurarsi con una nuova dimensione lo stimola, alla pari di essere parte attiva in un una iniziativa di solidarietà nel sociale, di impegnarsi in qualcosa che potesse fare felice lui, ma, soprattutto, gli altri. Il figlio Marco, maestro di ballo anche lui, con la gloriosa scuola di famiglia, la Palma d’oro, è scettico al riguardo. Si preoccupa per le lunghe trasferte su quella stradaccia, e l’ambiente particolare che il padre, alla sua età, dovrà frequentare. Ma Mario ha già deciso. Lo accompagnerà in auto, e in questa nuova avventura, il suo amico Lucio Crescenzi di Grottammare.
Si va, dunque. Giorni e orari ritagliati nei buchi della routine interna al carcere, e conciliabili con gli impegni del maestro Capriotti. La vicedirettrice della casa circondariale, signora Coccia, passa ai raggi ics le loro posizioni, con i rispettivi casellari giudiziari, prima di autorizzare il loro ingresso nella struttura. Le recluse donne sono di ancor più complessa gestione, soprattutto sotto il profilo psicologico. Fuori hanno lasciato, in molti casi, figli e mariti. A Castrogno, come detto, sono solo una quarantina, di ogni età ed etnia. La risposta, in termini di adesioni, a questa grande novità del ballo, è buona.
Alla prima lezione si presentano in una quindicina nella piccola sala ricreativa del carcere. Una televisione e un biliardino per cercare di affogarci dentro le proprie angosce, mentre si consuma l’attesa, più o meno lunga, del giorno di fine pena. Chi più timida, chi più estroversa, come all’inizio, anche fuori di qui, di ogni corso di ballo. Il maestro Capriotti, ovviamente, per l’occasione mette da parte la sua professionalità. Mira, più che a insegnare passi, a coinvolgere tutte. Le più brave e, soprattutto, le meno. Quelle più restìe a provarci, ad aprirsi. È proprio questo il compito principale, ma anche il più arduo. Creare il feeling, conquistarsi, con l’attenzione, anche la fiducia. Impresa non sempre agevole.
«Loro – spiega Mariella – percepiscono nettamente la predisposizione d’animo che hai. Sentono, subito, quasi istintivamente, di chi possono fidarsi, e di chi, invece, no. Possono, anche se a fatica, arrivare ad aprirsi, a raccontare la loro vita».
La musica aiuta, come sempre, a preparare il campo. Mario, grazie oltre mezzo secolo di esperienza, ha l’occhio allenato. E il cuore sempre aperto. Vorrebbe socializzare, come suo costume consolidato, con tutte. A volte bisogna saper anche aspettare. Lucio Crescenzi, l’autista e aiutante del maestro, viene da Grottammare. È in pensione, e questa esperienza ha toccato profondamente anche lui.
«Bisogna essere molto discreti – spiega – assolutamente mai invasivi, dimostrando eccessiva curiosità. Non dobbiamo fare domande, tanto meno inopportune, o sbirciare nelle celle. D’altronde ci interessano le loro anime, non i loro passati. Piuttosto il presente, e anche il futuro, di quelle persone…».
Con il susseguirsi degli appuntamenti la voce corre fra le altre donne nella sezione. Alle prime “allieve” se ne aggiungono altre. Il maestro Mario Capriotti continua ad essere molto “flessibile” durante le lezioni. Lascia spazio ai balli, o alle musiche, che più divertono, e sono gradite. Sollecita spesso le richieste alle ragazze stesse. Qualcuna si apre nella gioia di un abbraccio: «Maestro, la prossima settimana non ci sarò. Esco. Non ci vedremo più. Mi dispiace…». «Allora ti aspetto alla mia scuola… passa a trovarci…», le risponde il maestro, senza sapere del suo residuo di pena da scontare agli arresti domiciliari.
Quando il maestro Capriotti senior, classe 1939, anche se nessuno vuole crederci che abbia compiuto, proprio questo mese, ottantasei anni, rinuncia alla trasferta teramana a causa del maltempo, le ragazze si allarmano. Rompere, infatti, almeno per qualche ora a settimana, il tran-tran di giornate tutte uguali, l’isolamento, è atteso quasi come fosse un colloquio, o una videochiamata, con i propri parenti. Temono che il loro corso di ballo finisca lì, che sia loro precluso anche quel raro momento di spensieratezza. Vengono rassicurate dal personale.
«I detenuti sono capaci – ci dice Maria Pia – di una umanità che da fuori non si percepisce. E che, fuori, anche noi abbiamo quasi del tutto perso. Stando a contatto con loro ci viene svelato un mondo che siamo abituati a giudicare in maniera negativa, e che invece nasconde doti da umane da riscoprire, da valorizzare. Entrare in comunicazione è creare una relazione che favorisca il rinascere in loro della speranza, una prospettiva nuova di esistenza. La spinta a continuare, nonostante le difficoltà di ogni tipo, è principalmente la fede in Dio, che ha sempre a cuore gli ultimi, e i carcerati sono fra questi. Portiamo la speranza, tema non a caso al centro dell’ultimo Giubileo di Papa Francesco. Una luce di cui loro hanno bisogno…».
Una sensibilità, quella dei quattro volontari, che non sempre trova il plauso fuori da quelle alte mura.
«Ma chi ve lo fa fare? Quella gentaglia non si merita niente…». Sono queste le frasi più ricorrenti di amici e conoscenti. «C’è tanta ignoranza in giro – commenta Mario Capriotti – da non meritare neppure una risposta. Qualcuna di quelle donne ci ha detto: ma quale buon Dio vi ha portati qui dentro? Siamo contente… Riuscire a far comparire qualche sorriso su quei volti segnati, è già, da solo, un gran risultato, stavolta…».
Gli altri hanno notato i suoi occhi lucidi, quando uscendo dalla struttura, si odono, ultimamente, i saluti, a gran voce, in coro, di quelle donne aggrappate alle inferriate: «Mario, Mario, ricordati di tornare la prossima settimana! Ti aspettiamo! Non mancare! …».
Si spera che il progetto possa andare avanti. Perché il ballo fa bene all’anima. Di tutti.
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