Filari in un oliveto (foto G. Vecchioni)
di Gabriele Vecchioni
In un precedente articolo, abbiamo definito il Piceno (o, meglio, l’intera regione Marche) come “il paese delle querce”, per sottolineare come questa splendida pianta (in realtà, sono diverse le specie) aveva contribuito a qualificare il paesaggio. In questo, approfondiremo la conoscenza di un altro vegetale che – anch’esso – identifica il paesaggio rurale piceno.
Stiamo parlando dell’olivo, un albero che da secoli è associato al nostro territorio.
L’ambiente campestre in generale (e, con esso, quello collinare piceno) è caratterizzato dalla presenza dell’olivo (Olea europea), un albero da frutto originario dell’Asia Minore, appartenente alla famiglia delle Oleacee (alla stessa famiglia botanica appartengono generi diversi, ben presenti nelle nostre zone; solo per citarne qualcuno, fanno parte delle Oleacee l’orniello, il ligustro, il gelsomino…), assai diffuso nell’area mediterranea fin dall’antichità remota. Nel suo Florario, Alfredo Cattabiani lo definisce “fuoco vegetale” perché «dal suo frutto si ricavava, in passato, l’olio per le lucerne».
Oltre a essere una risorsa importante dal punto di vista economico per via della produzione del rinomato olio, derivato dalla spremitura dei suoi frutti, l’olivo è simbolo culturale che evoca la tradizione e l’identità del territorio.
Prima di analizzare l’importanza di questa pianta per l’economia e la vita stessa del nostro territorio, vediamo qualche sua caratteristica, aiutati dalle parole di scrittori e poeti che hanno considerato l’olivo una fonte di ispirazione.
L’origine. Abbiamo detto prima, che l’olivo è originario dell’Asia Minore. L’affermazione deriva dal fatto che nell’area della Siria è diffusa la forma “selvatica”, il cosiddetto oleastro o olivastro (Olea europea var. sylvester) che forma addirittura delle macchie boschive nell’area costiera.
L’oleastro, considerato l’antenato del moderno olivo coltivato, fu domesticato nel IV-III millennio AC. Ha una forma arbustiva ma, libero di crescere, piò assumere proporzioni ragguardevoli; nell’area mediterranea si rinvengono esemplari centenari, dal tronco contorto.
S’Ozastru, esemplare millenario di oleastro (spiegazione nel testo, ph Olivastri millenari-Luras)
L’albero più antico d’Italia è in Sardegna ed è proprio un olivastro, l’oleastro di Luras (un centro della Gallura, nel Sassarese), conosciuto come S’Ozastru de Santu Baltolu, alto 15 m, con una circonferenza di 12 m e un’età stimata di circa 3800 anni (II millennio AC!). La Sardegna presenta estesi boschi di oleastro ma, paradossalmente non è una regione dalla grande tradizione olivicola.
Foglio d’erbario di Olea europaea (da Icones plantarum medico-oeconomico-technologicarum, Vietz, 1804)
Nell’antichità, la pianta era considerata (nell’area ellenica) di grande valore: i suoi rami, tagliati ritualmente con un falcetto d’oro, erano utilizzati per incoronare i vincitori delle gare dei giochi olimpici. Al mito appartiene invece la credenza che la clava dell’eroe fosse stata ricavata proprio da un tronco di oleastro: Euripide racconta che questo ramo secco sarebbe prodigiosamente rinverdito, dando vita a un albero maestoso.
L’olivo selvatico ha forma arbustiva, con foglie e frutti piccoli e rami spinescenti; l’olivastro può essere utilizzato come portainnesti per cultivar d’olivo.
Dalla selezione massale effettuata sull’oleastro sarebbe derivato l’olivo così come lo conosciamo oggi. Una volta realizzata la grande utilità della pianta per l’uomo, furono proprio gli abitanti della zona costiera medio-orientale (i Fenici) che, navigatori e mercanti, ne diffusero la coltivazione nell’area mediterranea, un ambiente geoclimatico favorevole al suo sviluppo.
Areale di diffusione dell’olivo nel bacino mediterraneo
Il mito. In una delle tappe della sua diffusione da oriente verso occidente, l’olivo arrivò in Grecia. Una tradizione millenaria lega la pianta alla dea Minerva (Atena per i Greci antichi) che avrebbe piantato il primo olivo sull’acropoli di Atene. Secondo il mito, in Italia l’olivo sarebbe stati introdotto da Aristeo, dio benefico dei giardini, figlio di Apollo e della ninfa Cirene, che avrebbe insegnato agli uomini la pastorizia e l’arte di “fare” l’olio e il miele (ce lo racconta Virgilio nelle Georgiche). L’olivo e la sua coltivazione (e la conseguente produzione di olio) sarebbero stati ricevuti per la prima volta in Sicilia e in Sardegna; in seguito, gli etruschi avrebbero cominciato a coltivarlo in Campania. Sarebbero stati, poi, i Romani a completare l’opera, esportando la coltivazione nelle altre terre del bacino mediterraneo. L’olivo si è diffuso in tutte le regioni geografiche dove ha trovato condizioni climatiche che lo consentissero.
Per quanto riguarda la simbologia moderna con la quale viene associato, dobbiamo ricorrere alla Bibbia. Nell’Antico Testamento, nella Genesi, si legge che, quando le acque del Diluvio universale cominciarono a calare l’arca di Noè si arenò sul Monte Ararat; il patriarca liberò una colomba che ritornò con un ramoscello d’olivo nel becco, segno che le acque si erano ritirate: per ebrei, cristiani e, poi, mussulmani diventò simbolo di rinnovamento e di pace.
Nella Domenica delle Palme (durante la quale si commemora l’entrata di Cristo a Gerusalemme) la palma viene sostituita da ramoscelli d’olivo anche se questi non sono menzionati nel testo biblico: il senso è quello della riconciliazione tra il Signore e gli uomini.
Note botaniche. L’olivo è una pianta sempreverde (le rinnova, cioè, gradualmente), con foglie persistenti e coriacee, verdi e lisce superiormente e con tomento (vale a dire, la foglia è rivestita di peluria) argenteo sulla parte opposta («l’ulivo dal volume argentato», Pablo Neruda»).
L’olivo è una pianta longeva, con un tronco è irregolare che spesso assume una forma contorta ed è, a volte, cariato negli esemplari vecchi (anche qui una citazione poetica, di Luigi Pirandello: «… nel tronco tuo scabro e stravolto…»). Ha un legno durissimo che si presta a lavorazioni di qualità.
La parte principale è il frutto, una drupa oleosa ellissoide di colore verde (nera a maturità) che si sviluppa da fiori poco appariscenti, riuniti in infiorescenze a grappolo. Le olive si raccolgono verdi per l’industria conserviera o mature (nere) per gli oleifici. Dalla polpa delle drupe si ricava l’olio: la produzione di olio extravergine d’oliva rappresenta una importante risorsa economica, soprattutto nelle zone collinari.
In particolare, la bontà delle olive picene è conosciuta fin dall’antichità romana. Lo affermano Plinio il Vecchio (se. I DC) e Marziale (secc. I-II DC), che scrive: «succurrent tibi nobiles olivae/ Piceni modo quas tulere rami [verranno in tuo aiuto le nobili olive, appena colte dai rami piceni]».
L’olivo e il paesaggio. Di solito, il paesaggio si associa a una o più piante caratteristiche del luogo, cioè che vegetano in condizioni ottimali nella zona. Le nostre colline ospitano diverse piante di olivo, secolari o di impianto più recente, isolate o in filari ordinati: tutte contribuiscono all’identificazione del paesaggio rurale, essendo legate alla storia agraria e alla tradizione locale, testimoniando la continuità del lavoro di chi ha coltivato la terra, per secoli.
In realtà, anche se l’areale dell’Olea europaea è costituito dal bacino mediterraneo, ormai l’olivo si coltiva, nel mondo, nelle zone con clima mediterraneo: lo troviamo in California, in Sudafrica, in Cile e in Argentina, nell’Australia meridionale…
Gli oliveti sono importanti per la salvaguardia della biodiversità, oltre che per la varietà delle cultivar anche perché favoriscono la presenza di altre specie, vegetali e animali.
Conclusioni. L’olivo non va considerato semplicemente come una pianta, per diversi motivi: oltre alle conclamate virtù per il nostro benessere (è uno dei cardini della “dieta mediterranea”), è un elemento essenziale e identitario del nostro territorio e impreziosisce il paesaggio, fa parte della nostra cultura e, non ultimo, contribuisce alla nostra economia.
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