Le storie di Walter: il vetrinista Vittorio Cantalamessa e la casa-museo di Battisti

ASCOLI - Un suo recente allestimento, voluto ad impreziosire la casa natale del cantante a Poggio Bustone, offre lo spunto di raccontare la vita di un ragazzino arrivato da Trisungo a dimostrare quello che valeva. Una vita intera dedicata alla vetrinistica, da esteta ed esperto di linguaggi della comunicazione, con molti parallelismi legati al suo idolo della canzone italiana
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La casa-museo di Battisti

La vetrina allestita da Cantalamessa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Walter Luzi

 

Fiori rosa, fiori di pesco. Nasce dai versi immortali di una delle canzoni più note di Lucio Battisti, l’ultima creazione dello storico vetrinista ascolano Vittorio Cantalamessa, nella casa museo del cantante laziale a Poggio Bustone. Il piccolo paese del reatino dove Lucio è nato il 5 marzo 1943. Utilizzando materiali moderni e performanti, Cantalamessa ha dato corpo alle emozioni antiche ed eterne delle quali è intrisa la sua musica.

Pino Bonomo con Vittorio Cantalamessa

 

All’interno e all’esterno della piccola casa del ricordo voluta e custodita da Giuseppe “Pino” Bonomo. Uno che si è preso a cuore la benemerita impresa di tramandare, con un impegno che lo ha portato a raccogliere apprezzamenti unanimi, fino all’alto patrocinio del Consiglio europeo di Bruxelles, la memoria di Lucio Battisti. Pino e Vittorio, due grandi innamorati della sua musica, si sono conosciuti solo l’estate scorsa, entrando presto in squisita sintonia.

 

L’ascolano si è messo subito al lavoro, e gli eccellenti, quasi immediati, risultati, sono documentati dalle foto a corredo di queste righe. Con l’artista laziale, Vittorio Cantalamessa conta anche diverse affinità. Per il vissuto, non sempre felice, che li ha accomunati fin dalle rispettive infanzie.

 

Per quell’anno, il 1943, delle loro nascite, a soli quattro mesi, giusti giusti, di distanza l’una dall’altra. Autodidatti entrambi, nei rispettivi campi, ma innovatori, dall’espressività che privilegia le emozioni da trasmettere, l’ispirazione, l’intuizione, la sperimentazione di nuove vie, in luogo della più comoda osservanza di canoni, tecnici, estetici e stilistici, codificati, predominanti.

 

Per gratitudine, infine, di Vittorio, verso un artista la cui poesia ha amato per tutta la vita. Con una forma di riconoscenza postuma che trova pochi eguali per qualità e generosità. Alcuni versi delle canzoni più celebri di Battisti, Vittorio, in passato, li aveva già fissati sui muri di casa sua, discretamente integrati nell’arredamento. Uno di loro recita “…l’universo trova spazio dentro me…”. Insieme alle amarezze, comuni anche queste, rimaste dentro. Come altre, più lontane nel tempo, di un passato che hai cercato, forse invano, di seppellire. Per riconoscenze attese, e meritate, non sempre arrivate. Soddisfazioni che possono essere, a volte, più importanti e gratificanti, di ogni pur lauto compenso. Quando nel proprio lavoro, meglio, nella propria arte, si è dato tutto.

 

Poggio Bustone

 

Ogni epoca ha i cantanti che si merita. Noi con i capelli bianchi siamo stati fortunati a crescere con la musica di tanti cantautori che ci hanno segnato. Perché ti aiutavano anche a pensare, a riflettere, a maturare. Quando i testi contavano più dell’orecchiabilità, i contenuti più della ritmica. E lo show business non era ancora arrivato ad inquinare tutto. Quando, anche in uno sperduto paesino come Poggio Bustone, poteva nascere un fenomeno.

 

«Questo museo – spiega Pino Bonomoha potuto essere realizzato principalmente grazie ad Alfiero Battisti, il papà di Lucio, che ha lasciato, secondo testamento, tutti questi ricordi ai nipoti, Andrea e Viviana. È principalmente loro il merito se possiamo essere qui, adesso, a ricordare uno dei miti della canzone italiana, che oggi anche i giovanissimi stanno riscoprendo. Contiamo di far diventare presto itinerante questo museo, che ha già ricevuto l’attenzione di molti programmi televisivi, e dei telegiornali di tutte le reti».

 

Durante la visita scopri il Lucio pittore, che scrive le sue canzoni magari mesi dopo averne dipinto le immagini, spesso finite sulle copertine dei suoi dischi. Ma anche le foto in bianco e nero da adolescente e studente. Il Lucio precursore ecologista, amante della natura e dei cavalli, che si è fatto da Milano a Roma tutta in sella al suo cavallo, sempre immerso in quella natura che amava profondamente.

 

C’è l’introvabile volume che raccoglie le sue foto più iconiche firmate da Cesare Monti. Ci sono tutte le copertine dei suoi Lp e 45 giri, appesi al soffitto, le sue chitarre Eko a dodici corde, e le lettere autografe scritte ai genitori, alla madre soprattutto. Con quel suo vezzo abituale di mettere un faccino sorridente, una sorta di antesignano emoticon, dentro la O finale di Lucio. E poi le mille fotografie che lo ritraggono insieme ai grandi dello spettacolo della sua epoca. Fino alla prematura scomparsa, nel 1998, a soli 55 anni.

 

Vittorio Cantalamessa ha saputo aggiungere ai brividi per le immagini e i documenti storici esposti, la suggestione di allestimenti a tema degni della leggenda che vuole evocare, ed esaltare. Alberi di pesco stilizzati, con bellissimi fiori, dai colori accesi, che mai diresti finti tanto sono vivi. Foglie e rami stilizzati che ornano e collegano ogni ambiente fino a ”…la cantina buia dove noi respiravamo piano…”.

 

I versi immortali delle sue canzoni visibili ovunque, che ti accompagnano, discreti e potenti. Parole mai dimenticate. Vittorio ha dedicato a Lucio anche una delle sue poesie, che ha già l’onore di figurare, incorniciata, fra i cimeli. Si rammarica per la distanza di Poggio Bustone dalla sua Ascoli, e i malanni della sua schiena, sennò avrebbe già finito il lavoro, con tante idee nuove per migliorare ulteriormente il risultato.

 

Perché la sua opera non è ancora ultimata. E ha fretta di completarla. Si china a raccogliere da terra sagome indistinte di poliuretano pressato che, sempre lui, ha verniciato al quarzo, e lasciate ad asciugare in un angolo della sua casa ascolana.

 

Le posiziona, una ad una, sul pavimento a comporre la chioma stilizzata di un albero che si allungherà a collegare gli ultimi ambienti della casa museo di Lucio. Con quella sua voglia di fare sempre presto e bene che non lo ha mai abbandonato. Con quel suo piglio da perfezionista che lo ha sempre contraddistinto.

Entusiasmo nel fare

 

Ascolano di adozione, ma con radici profonde, e cuore, mai sradicati dalla natìa Trisungo, terra di Arquata. Il calore e la luce di una famiglia numerosa e unita, che gli hanno dato sempre forza. Stelle polari che hanno tracciato e accompagnato la sua rotta sicura, esempi seguiti con orgoglio. Pensionato oggi. Ma solo sulla carta. In realtà non si è mai rassegnato all’inattività, conservando, come lo chiama lui ”l’entusiasmo nel fare”.

 

Genio della vetrinistica molto precoce, che ha iniziato a dimostrare a nemmeno quindici anni. Senza mai cessare. Orgoglioso ancora oggi di essersi realizzato, con sacrificio e grazie ad un talento innato, nel suo lavoro, nonostante quel diploma di licenza media sia rimasto per sempre il suo unico titolo di studio conseguito. Mai sentita, per altro, questa, come un’onta nel suo curriculum, ma, semmai, come un vanto.

Vittorio Cantalamessa scolaro

 

Conserva ancora gelosamente foto e bozzetti buttati giù di suo pugno, di espositori continuativi di ogni foggia, di stender e display, con le istruzioni di allestimento di reparti di abbigliamento, o della vestizione dei manichini, con l’accostamento dei colori degli indumenti da utilizzare. Temi moda da lui concepiti con i criteri di una comunicazione visiva che nulla lasciava al caso.  Quando parla dei suoi datori di lavoro, a capo delle rivendite più prestigiose di abbigliamento fra Marche e Abruzzo attraverso più di mezzo secolo, mette ancora il “Signor” davanti ai loro nomi.

 

«Li porto tutti quanti nell’anima…». Confessa. E si emoziona. Con un rispetto, una gratitudine, mantenuti intatti, a decenni e decenni di distanza.

 

Il testo continua dopo le immagini 

Da bambino

Con la sorella Elisa

Adolescente a Trisungo

 

Quel profumo delle stoffe

 

Vittorio cresce in una famiglia numerosa, e benestante, almeno fino allo scoppio della guerra, a Trisungo di Arquata. È il sesto di sei figli. Elsa, Maria Vincenza, Ester, morta a soli due anni, Vincenzo, Elisa, e, infine lui, Vittorio, nel 1943. Il suo papà, Felice, classe 1903, è bello, elegante e brillante, come un divo del cinema. “Somigliava molto a Vittorio De Sica” racconta qualcuno ancora oggi. Ama la Letteratura. Poeta per diletto, sa suonare la chitarra e il mandolino.

 

È, soprattutto, un sarto provetto, che ha aperto a Trisungo, oltre alla sartoria, anche una merceria e un negozio di tessuti. Negli anni di maggior fulgore arriva ad avere in laboratorio dodici giovani apprendisti sarti. Da tutti centri montani vicini arrivano da Felice Cantalamessa a farsi confezionare su misura il vestito buono, quello delle grandi occasioni. L’eleganza, anche nel vestire, oltre che nei modi, è un tratto distintivo dell’intera famiglia.

 

«Il profumo delle stoffe, dei tessuti accatastati sugli scaffali lo sento ancora – confessa Vittorio – risaliva dal pianterreno lungo la scala interna, fino alla grande sala da pranzo con il camino. Quel profumo mi è rimasto dentro”».

 

Ma la vera artista della casa è la mamma Francesca, classe 1912, si è sposata che aveva appena sedici anni. Con la sua macchina per fare le maglie ci confeziona persino scarpette per gli zoccoli. La sua prima sorella, Elsa, invece è una abilissima ricamatrice di corredi per le future spose. Rinuncerà a sposarsi, a farsi una famiglia sua, per restare ad accudire i suoi fratelli e le sorelle. Se ne è andata due anni fa. “Ricca della sua vita” gli ha fatto scrivere il fratello sulla sua lapide.

Con il papà e il fratello

 

Vittorio frequenta le scuole medie ad Acquasanta, ma lo studio non fa proprio per lui. «Smettere di studiare per me è stata una liberazione – ci dice – non mi piaceva proprio. Tutto il mio tempo lo passavo a costruire di tutto, piccole casette, e gabbie per gli uccellini. E poi, nel duro dopoguerra, capii da solo che mio padre non avrebbe avuto, comunque, a quel punto, la possibilità economica di mantenere agli studi, con le mie sorelle, anche me».

 

L’inizio da Di Sabatino

 

La prima opportunità lavorativa gliela offre, nel miglior negozio di Ascoli, nel 1959, una famiglia prestigiosa. I Di Sabatino. Il capostipite Fioravante e i due figli, Piero e Bruno, hanno punti vendita nelle centralissime via Trieste in Ascoli e alla Galleria “Piunti” di San Benedetto. Vittorio inizia come ragazzo di bottega. Ha solo quindici anni. Alza e abbassa le tende a protezione dal sole dei capi esposti. Passa la segatura per pulire i pavimenti, fa da facchino per la consegna dei pacchi a casa dei clienti. Quando pesano troppo usa un carrozzino, ma lui se ne vergogna un po’. In cuor suo è già sicuro di poter fare di molto meglio. Sant’Emidio, gli dà una mano.

In occasione delle festività patronali agostane, infatti, arriva la tradizionale sfida fra i negozianti del centro ad allestire la vetrina più bella. Bartoli e il Caffè Meletti, in piazza del Popolo, sono sempre i grandi favoriti. Tutto merito di Gino Cipollini, un vetrinista di grande talento. Il giovanissimo Vittorio ne è ammirato. Va a sbirciare le sue vetrine per cercare di carpirne i segreti, furtivamente, quando non c’è troppa gente in giro. Ha già consapevolezza delle sue potenzialità creative, ma non smette di affinarle, di cercare ispirazioni.

 

Quando sente, una mattina, il signor Di Sabatino affidare questo incarico a Enrico Caccia, uno dei suoi venditori, rompe gli indugi. E si offre lui per quell’incarico di grande responsabilità. «Signor Piero, le faccio io le vetrine». Desta sconcerto generale l’ardire di questo sbarbatello sceso dalle montagne, che appare presuntuoso agli occhi dei commessi più anziani. Lui sente la sfiducia diffusa intorno a sé, ma è lo scherno ad offenderlo di più. Ci resta male, e lo vedono tutti.

Nella vetrina Di Sabatino nel 1959

 

Quel pomeriggio il signor Piero convoca il ragazzino nel suo ufficio. Ha visto la sua mortificazione, e vuole convincerlo bonariamente a desistere dal proposito di voler accollarsi quella grossa responsabilità. Certamente troppo grande per un ragazzo giovane e inesperto come lui. Continuando a tenere la testa bassa Vittorio gli risponde con sole tre parole. «Le faccio io».

 

Di fronte a tanta determinazione Piero Di Sabatino si arrende. «Va bene. Te le faccio fare. Ti chiedo solo di non farmi fare brutta figura. Non tanto con i clienti, quanto con i commessi…».

 

Cominciò così la brillante carriera professionale di Vittorio Cantalamessa.

La prima vetrina di Vittorio da Di Sabatino

 

«Quella notte a casa di zia Titina, dove alloggiavo – rivela – non dormii, pensando a qualche buona idea. Mi inventai colonne corinzie, realizzate con le lamiere di due vecchie serrande riavvolte al contrario e fissate con il fil di ferro. I capitelli li feci di legno. Il busto classico, senza arti e senza testa, di una dea, che voleva essere dell’eleganza, lo realizzai con la cartapesta. In un’altra vetrina un bimbo in costume arabo incantava serpenti, fatti con cravatte sostenute da fili di ferro nascosti, che fuoriuscivano da un paiolo. Nella vetrina accanto, affacciata come le altre lungo la centralissima via Trieste, un tappeto arrotolato diventa un cannone su ruote fatte con il compensato».

Vetrina Di Sabatino

 

Quando, alla vigilia di Sant’Emidio, le tende finalmente si sollevano a mostrare la sua opera, il successo è enorme. I complimenti dei passanti per i Di Sabatino si sprecano. Vittorio quasi impazzisce di gioia, ma va a sfogare tutta la tensione accumulata, l’emozione, e l’immensa soddisfazione, nella solitudine del magazzino, lontano da occhi indiscreti. Quella sera, alla tabaccheria Maestri, si compra un pacchetto di Astor. Per festeggiare, si regala la sua prima sigaretta.

 

L’indomani Piero Di Sabatino nel ringraziarlo, lo omaggia con una scatola di calzini. «Credo che, da oggi, questi ti serviranno». Perché nelle vetrine si entrava abitualmente senza le scarpe. Nasce quel giorno il mito di Vittorio Cantalamessa. Il vetrinista.

Rieti, 1963: medaglia d’argento concorso nazionale con Bassetti

 

Quella vetrina da medaglia

 

L’allestimento delle sue vetrine a soggetto diventa presto un must. La sua mano, le sue intuizioni geniali, arrivano anche nel negozio dei Di Sabatino a San Benedetto, all’interno della Galleria Piunti. Il suo gusto non sfugge ai venditori della Bassetti, che lì capitano spesso. Ha stoffa questo ragazzo, un occhio esperto lo nota subito. Lo vogliono a Rieti. Qui Vittorio va ad occuparsi del negozio principale, quello arredato dal famoso architetto Capriccioli. È il 1961.

I Bassetti sono, da subito, molto contenti dei suoi lavori. Per ricompensarlo lo portano in gita premio a Cinecittà, dove si incanta davanti alle imponenti scenografie dei grandi film visti al cinema. Partecipa anche al primo concorso nazionale di vetrinistica, il Max Mara Mondadori.

 

È poco più di un ragazzo, molto timido anche, che deve ancora partire per la leva militare. Dubita di riuscire. E invece.

 

«Uno dei figli di Bassetti – racconta Cantalamessa – Umberto, bellissimo uomo sempre impeccabile dentro i suoi doppiopetto di seta, mi convocò in ufficio per darmi la notizia. Avevo vinto la medaglia d’argento nazionale e un robusto assegno che lui ha poi incorniciato, e appeso nel suo ufficio insieme al riconoscimento, liquidando a me, in contanti, la cifra vinta. A Rieti sono stato benissimo – continua Vittorio – e provo ancora tanto affetto per questa città. Mi pagavano bene e avevo tante belle ragazze intorno a me. Ho passato sette anni come in paradiso».

 

Nella manualità eccellerà sempre. Continua a lavorare con le sue mani, gommapiuma e pannolenci, polistirolo e l’immancabile compensato, cartone e plastica, carta da parati e crespa, cementite e ducotone. Riesce a riprodurre fedelmente il ferro e la pietra con effetti scenici realistici, sempre suggestivi, ammiccanti, invitanti. Tutto fatto a mano.

 

Vittorio militare negli Alpini

Con la sorella Elisa sposa

Anche quando parte militare, negli Alpini, si adopera per restare di stanza a L’Aquila anche dopo il C.a.r.. Questo gli permette di approfittare, per quindici mesi, di ogni licenza o permesso per continuare a curare le vetrine dei Bassetti a Rieti.

 

Il River

 

Quando si congeda, per favorire il riavvicinamento del fratello ad Ascoli, accetta l’incarico che gli arriva direttamente dal cavalier Vincenzo Monti. Va a Pescara. Qui i Monti hanno un centro abbigliamento moda di cinquemila metri quadrati in centro. Il River. Centro commerciale di riferimento, e di attrazione, per l’intero Abruzzo, che in tutti i fine settimana dell’anno registra sempre il pienone di visitatori.

Le mille vetrine del River 1969

Innamorati di Katrin Monti, Pescara 1971

Camicie Monti, sospese, per tutti (1971)

Monti Donna 1970

 

Ventiquattro vetrine al pianterreno, e una maxi, di ottantacinque metri di lunghezza al primo dei tre piani, lo aspettano. Cantalamessa ha carta bianca, e coordina una piccola task force di collaboratori. Tecnologie e materiali da utilizzare sono quelli tradizionali, limitati, ancora, ma ad alcuni suoi allestimenti riesce a conferire, pur senza disporre degli effetti speciali di oggi, con semplici e studiati accorgimenti, spessore, profondità, volume, persino tridimensionalità. Studia l’illuminazione più idonea, l’orientamento più adatto dei bagni di luce. Sospende nell’aria i capi grazie a invisibili fili di nylon tesati.

 

Con le sue idee e costruzioni, esalta con solennità dalle vetrine del River anche le giornate delle Forze Armate. Ricostruisce atmosfere da fiaba e personaggi delle favole, gnomi, folletti e animali del bosco. Plasma i tessuti, inventandosi effetti e prospettive originali. Il suo addobbo delle vetrine è, come sarà sempre, scenografico. Deve colpire, meravigliare. Evocare suggestioni profonde, con simbolismi e una appropriata scelta dei colori, valorizzando i capi esposti e indirizzando le scelte della clientela. Vittorio non rinuncerà mai al piacere di sporcarsi le mani con colle, stucchi e vernici.

 

Percorre tutta l’evoluzione delle mode, e degli stili di comunicazione. Eccelle nei drappeggi, che ha iniziato a padroneggiare, seguendo i consigli del padre, già a cinque anni, arrampicato in cima a una scala a libretto. Al River realizza quattro allestimenti all’anno, ad ogni cambio di stagione, e varie scenografie periodiche a tema. A Piazza Salotto, nel centro di Pescara, nobilita anche la vetrina della famosa pasticceria di Giuseppe Camplone, vincitrice del “Mercurio d’oro” per il suo dolce Cherripan esportato in tutto il mondo.

 

La vetrina di Camplone a Pescara

Il richiamo delle vetrine

River, estate 1970

 

Alla Monti lavorerà per quattordici anni, con la grande opportunità di arrivare ad allestire, due volte al mese, anche le prestigiose vetrine del brand nella capitale, a Largo Argentina. Va, e torna, da Roma, in giornata. In aereo, con i voli dell’Itavia. Nel 1974 sposa Pierina Petrucci. Un’altra figlia di Trisungo. La conosce fin da bambina, con le sue treccine, fra le allieve della sorella Maria Vincenza, maestra nella scuola del paese. Si rivedono quando lei è diventata una donna. Bellissima. Una coppia omogenea anche sotto l’aspetto strettamente estetico. Il loro unico figlio arriva presto. Porta il nome del nonno paterno. Felice.

 

Dalla Coin alla Gabrielli

 

Nel 1982 Vittorio passa con la Coin. «L’Università per me – racconta Vittorio – della vetrinistica.  Andavo su al nord, fra Mestre, Bassano del Grappa e Treviso, Vicenza e Trieste, per le presentazioni degli assortimenti stagionali e per degli stages di avanguardia sulla comunicazione visiva, la psicologia dei colori, la costruzione degli spazi espositivi».

 

Coin Ascoli, 1978: primo premio concorso vini tipici

Vittorio con la madre Francesca: aspettando la sposa il giorno del suo matrimonio, davanti alla chiesa di Trisungo

Vittorio con Pierina il giorno del loro matrimonio

 

I titolari del punto vendita Coin di Piazza Roma, ad Ascoli, sono i Gabrielli. Uno dei nocchieri della dinasty ascolana, Giancarlo, gli offre la guida di tutto il comparto Abbigliamento della Gabrielli Vendite. Quindici filiali in tre regioni. Marche, Abruzzo e Molise. Un’impresa titanica il loro, già programmato, rinnovo, con le problematiche più varie che questo comporta, condotta più o meno in contemporanea, nella quale Vittorio si immerge completamente.

Una delle idee di Vittorio Cantalamessa. La commessa diventa testimonial natalizia

 

«Mi sento, ancora oggi, legato tantissimo alla Gabrielli – confessa Vittorio Cantalamessa – ce ne vorrebbero centinaia di persone come il signor Giancarlo e il signor Luciano in questo Paese. Loro hanno costruito un impero rimanendo sempre umili. La qualità più grande della numerosa famiglia che rappresenta, lo si voglia riconoscere o no, una delle eccellenze di Ascoli».

 

Ma c’è di più. «Anche alla Gabrielli, come già alla Coin – continua Vittorio Cantalamessa – grazie ad Aldo Pizzingrilli, ho potuto continuare a crescere professionalmente. Sono stato anche docente di vetrinistica ai corsi di formazione organizzati dalla Confcommercio di Ascoli, San Benedetto e Porto San Giorgio. Non solo. Sempre grazie a lui ho potuto fare stage con i miei allievi, a Bologna e a Milano, alla Rinascente, in piazza Duomo. Esperienze di alto livello nel corso delle quali ho potuto trovare anche conferme a precedenti mie personali intuizioni».

 

Per poter continuare a rimanere il numero uno nel suo campo, al passo con i tempi, anzi, forse un passo avanti. Cantalamessa cura anche la realizzazione di opuscoli fotografici pubblicitari con i nuovi arrivi stagionali, indossati da fantastiche modelle nel locale studio Tavoletti. Nel 1996 si inventa come testimonial del manifesto aziendale di auguri natalizi, una delle commesse più carine del punto vendita di Piazza Roma. Un altro successone.

Quadro moda Cantalamessa in vetrina da Gabrielli

Una delle tante vetrine di Vittorio per la Gabrielli

Quadro moda di Vittorio Cantalamessa per la Gabrielli Vendite

 

Alla Gabrielli, come responsabile dell’immagine abbigliamento, lo mandano ad aggiornarsi persino a Parigi, alle monumentali Galeries Lafayette. Lui tocca il cielo con un dito, rispolverando il suo francese scolastico, e rinfocolando, grazie a esperienze così stimolanti, la sua creatività innata. Che il gusto e la passione per la moda e l’abbigliamento sia scritta nei geni dei Cantalamessa di Trisungo, lo testimonia anche un altro mito, nato questo oltreoceano. I fratelli maggiori di suo padre, Tito e Silvio, emigrati giovanissimi in America, aprono, infatti, a Philadelphia una sartoria di abiti da gran cerimonia, destinata a diventare poi prestigioso showroom del settore.

I Cantalamessa nell’abbigliamento oltreoceano

Una delle vetrine Gabrielli Vendite

 

Le richieste per ideare e realizzare con passione allestimenti e ambientazioni, gli sono continuamente arrivate dai più diversi ambiti. Come i leggendari Galà sambenedettesi della Croce Verde degli anni Novanta. Una volta volle fargli i complimenti per l’imponente scenografia esterna di ispirazione… nautica, anche la grande regista Lina Wertmuller, che era fra gli ospiti della serata.

 

Nel 1995 ha curato, con Aldo Pizzingrilli, anche l’allestimento di una esposizione degli abiti del Crivelli nella chiesa ascolana di San Vittore. Oggi continua a scrivere, come il padre, poesie per diletto, e per sensibilità non comune, nel ricordo struggente della sua infanzia. Anche a Poggio Bustone, come dicevamo all’inizio, in omaggio al grande Lucio Battisti, ha voluto portare “i ritagli della propria anima”. E una vitalità, una energia, un entusiasmo e uno spirito di iniziativa non comuni per un ottantaduenne.

 

«Il mio lavoro me lo sono creato – chiosa Vittorio Cantalamessa – perché sentivo di dover riscattare il fatto di non aver potuto studiare. Ci ho messo, sempre, tutto me stesso, riuscendo ad ottenere, ovunque, e in ogni epoca, grossi risultati. Mi porto dentro tanta ricchezza, che mi hanno trasmesso i miei genitori, e la mia numerosa famiglia. Ora che, alla mia età, si vive di ricordi, più che mai apprezzo l’onestà, l’umiltà, la dedizione al lavoro delle persone che ho incontrato. Sono loro i veri eroi della vita».

 

 


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