Luigi Di Maio con Gino Sabatini
«Le Marche non chiedono forme di assistenzialismo. Abbiamo però bisogno di farci sentire, di uscire dall’isolamento, di condividere con Regione e Governo le scelte strategiche per vincere le sfide che abbiamo di fronte. Continuiamo a dialogare e se possibile aumentiamo le occasioni di confronto. C’è da proseguire nel dialogo costruttivo, utile ad accelerare i processi e ad affrontare le criticità. Su questo fronte mi troverà sempre pronto, disponibile e motivato». Con queste parole Gino Sabatini, presidente della Camera di Commercio delle Marche, ha dato il benvenuto, e soprattutto imput molto precisi, al vice presidente del Consiglio dei ministri e ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro Luigi Di Maio. Sabatini, con al fianco Fausto Calabresi, componente della Giunta della Cdc delle Marche, ha ben rappresentato, senza piagnistei ed enfasi, la situazione difficile dell’economia nelle Marche e in particolare nelle zone terremotate. Un bel “promemoria” per Di Maio che infatti, nel suo intervento, ha raccolto e dato assicurazioni.
Prima di tutto, però, Sabatini ha voluto ricordare la nascita della Camera di Commercio delle Marche la quinta in Italia per numero di imprese rappresentate e la prima per estensione territoriale. «Accorpando le 5 preesistenti realtà provinciali – ha detto con soddisfazione – abbiamo contribuito compiutamente, caso unico in Italia, al raggiungimento degli obiettivi di razionalizzazione e risparmio. Siamo una buona pratica, un esempio nazionale, un modello replicabile. Abbiamo condiviso gli obiettivi preliminari della riforma camerale, anzi nelle Marche li abbiamo anticipati, lavorando allo snellimento del sistema, azzerando ogni tipo di spreco, mettendo a disposizione delle imprese risorse per progetti seri e mirati e non per interventi a pioggia. È anche vero però che proprio questa riforma ha bisogno di una messa punto e di qualche modifica che ci consenta di operare con sempre maggiore efficacia a sostegno delle imprese, specie le piccole e micro, che costituiscono l’ossatura del tessuto economico italiano – e le Marche ne sono l’esempio. Mi riferisco, in particolare, al recupero del diritto annuale tagliato dalla riforma e finalizzato alle esigenze delle imprese su progetti concordati con il Mise e alle funzioni legate all’internazionalizzazione: dobbiamo aumentare la vocazione all’estero soprattutto delle piccole imprese, che altrimenti scomparirebbero. L’Ice può essere il punto di riferimento dei big della nostra industria, non lo può essere per chi ha bisogno di un sostegno continuo: dalla scoperta dei nuovi mercati target, all’assistenza all’estero nelle fiere, nella creazione di reti commerciali, nelle piccole difficoltà che si incontrano nel quotidiano. Mi auguro che questi macro-temi possano essere inseriti nella sua agenda di lavoro».
Poi Sabatini è passato ad un’analisi dell’economia marchigiana. «La crisi economica qui ha colpito duro – ha sottolineato rivolgendosi a Di Maio – e il terremoto ha fatto il resto. Mi creda, il sisma ha devastato gli aspetti geografici, quelli sociali e quelli economici in una parte molto ampia della regione. Sono certo che questa situazione Le sia ben nota, perché ancora si riflette sui livelli occupazionali e sulle crisi aziendali che ancora continuano a verificarsi. C’è bisogno di attenzione, c’è bisogno di cambiare passo, c’è bisogno di tanta concretezza.
Il riconoscimento da parte del Mise di area di crisi complessa del distretto della calzatura Fermo e Macerata, ad esempio, è un passo strategico per il riposizionamento e la ripresa del più importante distretto produttivo italiano del settore. Confido che tutti i provvedimenti ad esso relativi siano tarati alle effettive dimensioni della stragrande maggioranza delle aziende calzaturiere fermane e maceratesi, che è piccola se non addirittura micro. In ogni caso, questo provvedimento va accompagnato dal riconoscimento del made in Italy e, ma questo vale per tutto il manifatturiero italiano, da una riduzione consistente del cuneo fiscale e un calo significativo dell’Ires. Bisogna dare più risorse alle aziende perché sono queste che creano la vera occupazione.
Così come è importante il procedere delle azioni in favore del Piceno e della Val Vibrata: mi auguro, in entrambi i casi, che non siano finanziamenti messi in campo per sopravvivere, ma le fondamenta di un ampio progetto per crescere e tornare a essere competitivi. Quando penso al terremoto e, soprattutto, alla ricostruzione post-sisma, faccio mio l’appello degli edili perché le aziende del territorio siano chiamate a intervenire localmente, anche grazie allo spacchettamento degli appalti disposti dalle Amministrazioni locali. C’è bisogno di trasparenza e c’è bisogno di lavoro: attraverso l’istituzione di una ‘white list’ entrambi gli obiettivi sarebbero raggiunti.
Le Marche hanno bisogno di infrastrutture, hanno bisogno di ridurre le distanze, hanno bisogno di collegamenti rapidi: il completamento della Quadrilatero, i cui tempi sono stati scanditi nelle scorse settimane dal presidente Conte, è una priorità assoluta, ma va accompagnato, ad esempio, dalla realizzazione della Fano-Grosseto, dal raddoppio ferroviario della Falconara-Orte e da una maggiore attenzione di Trenitalia verso i grandi centri turistici della regione, a cominciare da San Benedetto del Tronto e Civitanova Marche, dall’uscita veloce dal porto di Ancona. Sono progetti dei quali si parla non da anni ma da decenni: tante buone intenzioni, tante promesse, zero risultati.
Le confesso una mia forte preoccupazione: l’ipotesi che il traforo del Gran Sasso possa essere chiuso tra 4 giorni sarebbe un altro colpo mortale all’economia e alle comunità, soprattutto quelle del Sud delle Marche, che hanno come unica alternativa verso la Roma la Salaria, con alcuni tratti regolati da semaforo e a senso unico alternato. Non posso non fare un riferimento agli effetti della crisi delle banche, e in particolare di Banca Marche, sui cittadini e sugli imprenditori marchigiani: c’è un fondo da 1,5 miliardi in tre anni ma c’è il rischio di violare una direttiva europea ed è tutto fermo». «Ebbene, da europeista convinto – ha concluso il presidente – mi auguro che il prossimo rinnovo del Parlamento e dei vertici di Bruxelles sia l’occasione straordinaria per avere un’Europa più sobria, meno egoista; più attenta alla qualità della vita e meno alle dimensioni delle vongole. L’Italia merita di stare dentro a un’Europa all’interno della quale occupazione, imprese, infrastrutture, giovani, capitale umano, spinta all’innovazione e sostenibilità diventino temi pressanti, materie sulle quali costruire lo sviluppo dei singoli Paesi e la competitività dell’intero continente».
f.d.m.
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