Parole chiare dai terremotati
di Luca Capponi
La domanda, in mezzo a tante, risuona quasi banale: perché si parla del sisma solo nella settimana che porta alla fatidica data del 24 agosto? Un giorno, due giorni, in cui ci si (ri)catapulta, spesso in modo rapace, sulla tragedia che ha sconvolto il centro Italia nel 2016; interviste, (finti) scoop, discorsi di autorità, presidenti, promesse, ricordi, qualche lacrima in pubblico, apparentemente salvifica. Poi tutto torna come prima. Altri 364 giorni di oblio. Riflettori spenti, dopo una fase emergenziale in cui Amatrice, Accumoli e Arquata erano costantemente al centro dell’agenda.
Macerie a Vezzano di Arquata (foto Vagnoni)
Oggi nulla. Come la ricostruzione, ancora al palo. Come i rientri nelle case, sporadici. Tre governi, tre commissari e l’amara constatazione che la gente dell’Appennino sia stufa anche solo di sentirli nominare, i politici che tutto promettono ma che qui non si sono affacciati neanche in campagna elettorale. La montagna in fase di spopolamento, d’altronde, porta pochi voti in cascina.
«Anche io mi sono chiesto perché, ma la risposta non l’ho trovata -ammette il sindaco di Arquata Aleandro Petrucci-. So solo che qui la gente sta per sbottare. La ricostruzione non è partita, i rientri in casa sono pochissimi, e ci troviamo sempre a dire le stesse cose: burocrazia, macerie e ritardi. A Roma c’è un continuo via vai di nomine, governi, rappresentanti. Con la crisi in atto c’è il rischio che vada via lo stesso commissario Farabollini, essendo un uomo di fiducia del presidente del consiglio Conte: arriveremmo così a quattro commissari in appena tre anni».
Aleandro Petrucci, sindaco di Arquata.
Nulla da aggiungere. Se non che alla commemorazione del 24 agosto, in quel di Pescara del Tronto, l’unico rappresentante del governo sarà Vito Crimi, sottosegretario con delega al sisma. Poi ci saranno, appunto, Farabollini ed i vertici di Regione e Provincia.
«Quello che dispiace -aggiunge il vicesindaco Michele Franchi– è che si succedono governi e commissari e alla fine pian piano si vanno spegnendo riflettori che invece dovrebbero restare accesi tutto l’anno, non solo per tenere vivo il ricordo ma per accelerare, altrimenti finiamo nel dimenticatoio, con lo spopolamento definitivo dietro l’angolo. Tenere i fari accesi sul terremoto credo sia essenziale per far sì che parta veramente la ricostruzione, e che si mettano in atto le promesse fatte ai cittadini».
Di sicuro c’è che l’Italia, il paese degli anniversari e delle celebrazioni postume come stile di vita, ha un cuore agonizzante, a tratti distrutto. E che non fa nulla per curarlo, questo cuore malandato che rischia di cedere da un momento all’altro.
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