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Le storie del Pride,
innamorarsi non è mai una colpa:
Tamara: «Sogno un futuro senza paura»

SAN BENEDETTO - 35 anni, vive a Porto d'Ascoli con la sua compagna, lavora in una software house e gioca a calcetto: «Dai 13 ai 16 anni ho avuto le prime "storielle" con i ragazzi, ma li guardavo e non trovavo nulla che mi attraesse. Ho cominciato a farmi le prime domande quando ho preso la prima cotta per una ragazza alla fine degli anni ’90. Correre dietro a un pallone mi fa sentire libera. Spero che la gente non guardi più con quell'aria stranita le persone LGBT+ e che non si venga più giudicati per quello che si è»
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di Marzia Vecchioni 

 

Tamara ha 35 anni e convive con la sua ragazza a Porto d’Ascoli, lavora come manager in una software house e pratica calcio a 5 in una squadra della Vallata del Tronto. Quella che segue è la sua storia.

Tamara

«Fin da piccola sono stata attratta più dalle scarpe di mio padre che da quelle di mia madre racconta-. Vestivo da maschietto e alla prima bancarella andavo a caccia di un pallone. Perché correre dietro a un pallone mi faceva sentire libera. Mia nonna, però, continuava a comprarmi Barbie e a farmi indossare abiti da principessa; questo mi creava disagio. Ho provato più o meno la stessa sensazione quando tutte le mie amiche avevano già un fidanzatino e mi chiedevo se fosse il caso che ne cercassi uno».

«Dai 13 ai 16 anni ho avuto le prime “storielle” con i ragazzi, ma ho evitato il più possibile contatti fisici con loro -continua Tamara-. Li guardavo e non trovavo nulla che mi attraesse; mi chiedevo cosa c’era in me che non andava bene. Ho cominciato a farmi le prime domande quando ho preso la prima cotta per una ragazza. L’ho avuta alla fine degli anni ’90».

Tutto cambia, però, nel momento in cui Tamara conosce una ragazza in un forum, la sezione di un sito web dedicata alla discussione tra gli utenti, in cui viene a crearsi una comunità virtuale di persone.

Sul campo di calcetto

«La prima storia l’ho vissuta con lei -va avanti-. Non esistevano applicazioni del cellulare per incontri e i forum a tematica LGBT+ risultavano, spesso, l’unico modo per conoscere ragazze e scambiare due chiacchiere. Mi innamorai per la prima volta, ma vissi quell’emozione in maniera nascosta. Era come se quella storia fosse un binario che correva parallelo alle nostre vite. Avevo fatto l’amore con lei ed era tutto così naturale. Ho provato di nuovo la stessa sensazione di quando rincorrevo quel pallone da piccola. Mi sono sentita libera, stavolta, però, prigioniera delle convenzioni sociali. Durò solo qualche mese. Ho sofferto ma non ho potuto sfogarmi con nessuno, neanche con la mia famiglia e mi sono tenuta tutto dentro. L’omosessualità era ancora un tabù. Parlarne non era semplice e vivere una storia era complicato».

«Il primo coming out l’ho fatto verso i 18 anni con due amiche che hanno accolto questa notizia con maturità e sensibilità; sono stata fortunata perché non era una cosa scontata al tempo e, purtroppo, non lo è neanche oggi -ricorda Tamara-. La mia famiglia l’ha scoperto più tardi verso i 25 anni. Portavo a casa la ragazza dell’epoca e raccontavo che era solamente una mia amica. Era evidente che mentivo. Mio padre lo sapeva perché mi vedeva uscire di casa e non dicevo mai dove andavo, non potevo e non volevo dare spiegazioni, ed era stanco di sentirsi preso in giro. Affrontammo la questione parlandone faccia a faccia, ma non la prese bene. Abbiamo urlato, pianto, discusso. Non mi parlò per qualche giorno. Solo dopo essersi calmato e averci riflettuto mi ha confessato che era preoccupato per tutti gli ostacoli che avrei dovuto superare e le problematiche che avrei incontrato. Era consapevole che lì fuori non c’era un mondo pronto per la mia realtà, non disposto ad accettare un orientamento sessuale diverso da quello convenzionale».

Al lavoro

Tamara da lì ha continuato il suo percorso aprendosi poco a poco con tutti. Ha capito che non doveva avere paura del giudizio altrui, ma che doveva lavorare ancor prima sulla propria accettazione: «Se io mi sento bene con me stessa non temo nessuno». È capitato che Tamara subisse qualche battuta sul suo orientamento sessuale, ma lei ha sempre risposto con orgoglio e senza timore.

È fidanzata da circa un anno.

«È nato tutto in modo naturale e spontaneo -confessa-. Ci siamo innamorate l’una dell’altra. Sono la sua prima ragazza e quindi ho rivissuto con lei il periodo del mio coming out perché ha passato momenti difficili a causa della sua famiglia che non accettava inizialmente questa situazione. Le frasi che si sentiva rivolgere erano “Sei sicura di quello che provi?”, “Le stesse cose che provi adesso per lei le puoi provare per un uomo” ».

I genitori purtroppo, a volte, non capiscono che se il proprio figlio si innamora di una persona dello stesso sesso non è una colpa. «Con il tempo i suoi genitori hanno iniziato a mollare la presa ed ora, dopo un anno di convivenza, stiamo iniziando a vivere la nostra relazione in maniera più tranquilla», dice in merito Tamara.

C’è un episodio di omofobia che ha subìto insieme alla sua ragazza.

«Circa due mesi fa mentre facevamo spesa in un centro commerciale della Vallata, si è avvicinata a noi una ragazza giovane sui 25 anni e ha cominciato a essere aggressiva nei nostri confronti dicendoci: “’Sta lesbica di merda”, “Se ti prendo ti ammazzo”, “Che ca**o vuoi?” -racconta Tamara-. L’ho riguardata interdetta; non mi sembrava lucida, probabilmente era sotto effetto di sostanze stupefacenti. Ho fatto la cosa più saggia, sono andata direttamente dalla sicurezza del locale a far presente quanto ci era accaduto. Per fortuna la situazione si è risolta senza ulteriori problemi. È importante dire che questo episodio ci ha condizionato e proviamo un po’ più di timore rispetto a prima. Se camminiamo mano per la mano per strada adesso siamo più impaurite perché potrebbe capitarci una vicenda simile, e se prima non ci ponevamo il problema adesso sì».

«Per il nostro futuro -è la conclusione- e per quello di tante altre donne e uomini nella nostra stessa situazione mi auguro che si possa camminare abbracciati senza avere paura di essere aggrediti per strada, che la gente non guardi più con quell’aria stranita le persone LGBT+ e che non si venga più giudicati per quello che si è».

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