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Le forche caudine

QUATTORDICESIMA puntata della rubrica di Cronache Picene "Ascoli e Sambenedettese, un secolo di rivalità". Storie di sport, ma non solo
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Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto. Oltre alla rivalità sportiva, talvolta becera, c’è di più. Ci sono realtà figlie di passati gloriosi, che ai due centri hanno conferito prestigio. Ci sono state persone, popoli, storie e culture diverse, di pari dignità, separate solo da una manciata di chilometri, da conoscere, raccontare e tramandare. Accomunate, tutte, da un “eroismo” straordinario, che nessun astio, fazioso e municipalistico, può e deve cancellare. Di cui andare, tutti insieme, indistintamente, orgogliosi. L’amore cieco e sordo per il proprio campanile, il fanatismo che, in ogni campo, tutto avvelena, rischiano di farci ignorare, sia sotto il Torrione che in Piazza del Popolo, il meglio che, su entrambe le sponde, nei più diversi campi, con valore, sacrificio e abnegazione, durante lo scorrere degli ultimi secoli le nostre genti sono riuscite a costruire. A puntate, su Cronache Picene, racconteremo senza presunzione la Storia dei due centri. Sportiva e non. Scritta dai grandi personaggi del passato, soprattutto quelli meno celebri, da tramandare ai più giovani, e ai posteri, spesso ignari. Attraverso le glorie e le infamie, i fasti e le tragedie. Le pagine più esaltanti e i giorni più neri. Senza partigianerie e autoincensamenti di sorta. Senza sconti, che la Storia non può concedere a nessuno. Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto. Non più cugine invidiose e malevoli. Ma sorelle unite. E regine, entrambe, del Piceno e delle Marche. Non solo sui campi di calcio.

 

Il tratto dell’Adriatica a San Benedetto che diventava “forche caudine”

PUNTATA n. 14

 

Quando l’autostrada A14 ancora non c’era, la strada Statale 16 Adriatica era la strada più comoda per andare da Ascoli verso Macerata o Ancona. I tifosi bianconeri che decidevano di seguire la propria squadra in questi derby, che poi erano anche le trasferte più vicine, sapevano bene però che sulla strada del ritorno ci sarebbero state ad aspettarli, qualsiasi fosse stato il risultato, le forche caudine. Proprio davanti alla sede dell’allora Comune di San Benedetto infatti, c’era, e c’è ancora, un semaforo a regolare il traffico. Inevitabilmente si creava una fila di auto incolonnate, in attesa di riprendere la marcia.

Quando quel semaforo era rosso, quel tratto di statale Adriatica in quelle domeniche, diventava le forche caudine per i tifosi ascolani che, con le loro auto vi transitavano di ritorno dalle trasferte a Macerata o ad Ancona. Davanti ai bar Bugari e Marzonetti si radunavano infatti in queste occasioni frotte di tifosi rossoblù per aspettare al varco il passaggio degli ascolani sulla via del ritorno nella loro città. Era gente comune, normale, che andava a lavorare il giorno dopo.

Il semaforo davanti al vecchio Comune di San Benedetto

Non teppisti all’opera dunque, o ultras full-time, come se ne contano oggi su ogni piazza italiana. Per questi sambenedettesi quello era solo un festoso diversivo domenicale, che faceva parte del caratteristico folklore locale. Una usanza che rientrava fra le innocenti, periodiche, spassose “tradizioni” del posto. Screzi sani saranno, molto benevolmente, definiti.

Quando i malcapitati ascolani, squadrati a fondo attraverso i finestrini fra le due ali di convenuti ai bordi della strada, venivano riconosciuti a bordo delle loro automobili, dovevano subire le forche caudine sambenedettesi. Pugni sui tettucci e calci alle fiancate delle automobili, sputazzi contro i vetri dei finestrini, rigorosamente chiusi ovviamente. Fortemente sconsigliabile, infatti, scendere dalle auto. Aspettando quel maledetto verde che non scatta mai. Le spese di questi agguati domenicali le pagavano poi puntualmente, il giorno dopo, gli innocenti. Cioè i venditori di pesce al mercato ascolano. Le consuete rappresaglie erano infatti immancabili. Le cassette del pescato venivano rovesciate con tutto il loro contenuto sull’asfalto. Una volta anche i tavoli in pietra fatti a pezzi nello spazio ricavato al chiostro di San Francesco, oggi Sala Cola dell’Amatrice. Una vendetta seguita, ovviamente, dalle conseguenti zuffe.

Uno degli ultimi Ascoli ( 61-62) a giocare allo “Squarcia”

Cova e cresce così, anche per questo clima, anno dopo anno, il rancore fra le due tifoserie. Fra “pesciaroli sambenedettesi” e “pecorari asculà”. Epiteti che vogliono essere offensivi, ma, in effetti, entrambi, poco… calzanti. Il primo evoca infatti una delle marinerie più gloriose d’Italia. Il secondo una attività di allevamento ovino in realtà poco diffusa in Ascoli.

La Sambenedettese continua, in ogni caso, a primeggiare ancora calcisticamente a livello provinciale in quegli anni Sessanta, fino al 70/71, in serie C. Vince la maggior parte dei derby e in classifica precede i cugini in classifica in cinque stagioni su sette. La Lega relega le due squadre picene in gironi diversi (“B”, centro Italia, la Samb, e “C”, sud Italia, l’Ascoli) solo nel campionato 66/67. L’unica stagione in cui la Maceratese (seconda) e l’Anconitana (sesta alla fine) riescono a sopravanzare nella classifica finale una formazione del Piceno (la Samb chiuderà infatti quell’anno al nono posto).

 

(continua)


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