L’ingresso del Pronto Soccorso dell’ospedale “Mazzoni” di Ascoli
di Maria Nerina Galiè
Il pronto soccorso non è certo un luogo di piacere. I lunghi tempi di attesa lo rendono da incubo. E non solo ad Ascoli, dove gli accessi aumentano, i problemi pure, il personale medico diminuisce e quello infermieristico è sempre più sotto pressione. Una strada senza via d’uscita dunque? Tutt’altro per il dottor Gianfilippo Renzi, dal 20 settembre 2018 primario dell’unità operativa complessa che comprende pronto soccorso e reparto di medicina d’urgenza dell’ospedale “Mazzoni”. «La vera sfida per Amministrazioni e istituzioni sanitarie nei prossimi anni – sostiene – sarà reperire personale. Per vincerla, cosa che ritengo possibile, c’è la ricetta. Che deve contemplare un’accurata programmazione, l’aumento degli specialisti formati annualmente dalle università, la rivisitazione della figura del medico d’urgenza esaltandone le grandi soddisfazioni sia dal punto di vista professionale che delle doti umane. Senza però nasconderne le difficoltà». Fermamente convinto di questo, il medico non demanda però tutte le responsabilità ai “piani alti”. Certo le decisioni a livello di Governo centrale e regionale saranno determinanti per intervenire su pianta organica e numero di posti letto nei reparti. Ma forte della sua esperienza pluridecennale, fa un’analisi puntuale dell’unità che dirige evidenziandone criticità e strategie applicabili, ed applicate intanto, in sede locale. Per cominciare si racconta.
Gianfilippo Renzi (Foto Andrea Vagnoni)
Per il dottor Renzi, 59 anni, dirigere pronto soccorso e medicina d’urgenza del “Mazzoni” è stato un approdo naturale al quale è stato condotto dalla sua esperienza professionale ma, soprattutto, dalla sua vocazione, compresa agli inizi della sua carriera medica e mai rinnegata. Medico dal 1988, il primario pensava di voler fare il chirurgo, poi però si specializza in medicina interna terminando il percorso nel 1993, portandosi dietro i rudimenti di chirurgia nel frattempo appresi. Già nel 1989 ha il suo primo incarico «presso una struttura sanitaria con 40 simpaticissimi anziani – ricorda – dei quali mi dovevo occupare in collaborazione con i medici di base. Impartire sorrisi insieme alle cure era d’obbligo. E’ stata quella una scuola di umanità che mi ha segnato in modo radicale». Subito dopo fa la guardia medica e lavora come volontario al Pronto Soccorso di San Benedetto dove realizza di aver trovato la sua strada. «Non ho mai cambiato idea – afferma – e sono felice quando posso trasmettere il mio entusiasmo ai giovani colleghi che trovo disponibili». Nel 1994 segue un corso regionale per l’emergenza sanitaria che lo porta a lavorare in tutte le Marche fino a gennaio 1996, quando arriva al pronto soccorso e medicina d’urgenza del “Mazzoni”. «Non mi sono più mosso da qui – dice – scalando tutti i livelli, da assistente straordinario a tempo determinato a direttore, al posto di Massimo Loria che per me è stato un mentore ineguagliabile per le sue innate capacità professionali, come clinico e amministratore di risorse, e per le sue qualità umane». Sì, perché ci vuole tutto questo per dirigere un reparto ospedaliero, tanto più se si tratta di lavorare con le urgenze che crescono mentre i mezzi diminuiscono.
Il direttore generale di Area Vasta 5, Cesare Milani, e il dottor Renzi
E’ stato il predecessore probabilmente ad ispirare all’attuale primario l’identikit del medico d’urgenza. «E’ una figura speciale che accanto a un’adeguata preparazione professionale deve possedere grandi doti di resistenza psicofisica, rendimento, abnegazione, intuizione e umanità. I medici sono pochi perché il lavoro in questo reparto è considerato molto impegnativo, caratterizzato dalla lotta quotidiana tra la necessità di essere efficaci ed efficienti e l’altissimo rischio di errore professionale. Ciò spaventa. Nel mio caso invece è stato quello che mi ha appassionato insieme alla carica di adrenalina che ne deriva».
I NUMERI – L’unità ospedaliera diretta da Renzi due anni fa contava, oltre al direttore, 16 medici, scesi ora a 13. Tra due mesi saranno 12. «La direzione sanitaria – precisa il medico – si è data molto da fare per risolvere il problema, emanando diversi avvisi. La risposta però è stata scarsa anche per motivi di incompatibilità tra incarico ospedaliero e di continuità assistenziale. E’ il caso di tre colleghe titolari di guardia medica che, pur volendo lavorare nel mio reparto anche per integrare il numero di ore, non possono farlo. L’unica strada percorribile sarebbe un concorso per specialisti o equipollenti ed affini o attraverso la mobilità interregionale». Qui però la palla passa alle sedi centrali.
Nel corso del 2018 gli accessi al pronto soccorso sono stati 31 mila, di cui 10.300 codici gialli, 750 rossi, 18.800 verdi, 930 bianchi. In precedenza, i dati erano fermi a quelli dei primi anni 2000 e si attestavano sui 25-27.000.
Come mai questo aumento? «Diversi i fattori. C’è stato lo spostamento dalle zone terremotate del reatino ed è aumentata la mobilità dall’Abruzzo. In compenso il numero dei ricoverati, 5.276, è stato basso rispetto alla media nazionale. Nonostante ciò, ci si è scontrati con il calo dei posti letto disponibili nei vari reparti». Il 2019 è iniziato con una ulteriore crescita dei numeri. «Nel solo mese di gennaio e nella fascia notturna dalle ore 20 alle 8 – evidenzia il direttore – abbiamo registrato 27 codici rossi e 242 gialli». E qui la spiegazione può risultare allarmante. «Le complicanze dell’influenza stanno incidendo in modo più significativo rispetto agli anni precedenti, quando avevano un ruolo poco più che marginale, e stanno riguardando non solo gli anziani o le persone a rischio, ma anche giovani ed adulti. E ne avremo ancora fino a Pasqua secondo il mio parere».
(1 – continua)
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