Le storie di Walter: Giuliano Giuliani, lo scultore del travertino

ASCOLI - Il recente concerto di Dardust alla vecchia cava di Colle San Marco ha riacceso i riflettori su un luogo dell’anima. Raccontiamo la storia di questa attività di famiglia, che ha inciso profondamente sulla sua ispirazione creativa, e di Mario, il padre, che ne fu il fondatore  
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Giuliano Giuliani con gli attrezzi che furono del padre

 

di Walter Luzi

 

La vecchia cava di Colle San Marco non è un luogo qualsiasi. Chi la pensa solo come una location per eventi immersa nella natura, una piccola arena gioiello, intimista e suggestiva, per concerti musicali, che più volte, nel recente passato, l’hanno portata alla ribalta delle cronache, sbaglia. Il live zero 2025 di Dardust, che è nato e vissuto poco lontano da qui prima di diventare una star, di qualche settimana fa, è stata l’ultima occasione per tornare a respirare la storia di questo posto fuori dal tempo. Una storia che vogliamo raccontarvi. La storia di Mario Giuliani, uno di quegli uomini capaci di lasciare un’impronta, e del suo lavoro. Di questa vecchia cava che non è stata abbandonata, come tutte le cose, e le persone, quando diventano improduttive. Questa è la casa, il laboratorio, il luogo dell’anima, l’eremo montano che pure gli permette di avere più chiaro e aperto il suo sguardo sul mondo, di Giuliano Giuliani. Lo scultore di poche parole che riesce a rendere leggera, quasi trasparente, la dura pietra.

Una delle opere di Giuliani

 

Che per plasmare questa materia impegna cuore e mente, ma anche mani e corpo. Che, dando corpo alle sue visioni, compie una fatica, nobile e rigenerante, come quelle di cui è stato testimone e protagonista, in questo luogo, fin dalla più tenera età. Che nel suo confronto creativo, «…il corpo a corpo…»come lo definisce lui, con la pietra, non ambisce a vincerne la resistenza, a piegarne le asperità, ad annullarne peso e spessore. Scavandola in profondità, con determinazione, ne sonda invece, con delicatezza infinita, la forza delle proprietà, ma anche, rispettosamente, la fragilità e i limiti, che sono proprie anche dell’animo umano.

 

Il patriarca

 

Il papà di Giuliano, Mario Giuliani, classe 1917, è stato un grand’uomo. Tutto di un pezzo. Si distinguerà sempre per il suo grande spessore umano, oltre che per le straordinarie capacità, tecniche e lavorative, che dimostrerà sempre in ogni ambito fin da bambino. Nasce in una famiglia molto povera e numerosa a Piagge. I genitori, Giovanni e Angela Rosa, sono originari di Cerqueto, nel vicinissimo Abruzzo. A scuola va benissimo, ma gli studi, all’epoca, sono un lusso insostenibile per chi non ha possibilità economiche. Quando si apre il cantiere per realizzare la strada brecciata verso il pianoro, nei primi anni Trenta, lui si porta in collo, a piedi, fino al cantiere, l’acqua da bere per gli operai che vi lavorano.

 

Poco più che bambino già dimostra tutte le sue qualità. La prestigiosa impresa Matricardi di Ascoli, una facoltosa famiglia di ingegneri che ha aperto in città anche la rinomata, omonima, fabbrica di ceramiche artistiche, lo assume subito. Mario presto apprende con loro le tecniche di scalpellino. Appena adolescente comincia a lavorare grossi massi proprio nella sua Piagge e nei dintorni, nelle zone a lui più familiari, quelle di San Savino e del Gran Caso soprattutto. A diciannove anni scolpisce le croci missionarie ancora visibili in diversi cimiteri, fra cui quello della natìa Piagge. Durante la guerra è autiere in bassa Italia. Una parentesi che gli permette di acquisire esperienza anche con i motori e la meccanica degli automezzi. Ma il richiamo della pietra, della cava, è troppo forte per lui.

 

La cava Giuliani

 

È lui, Mario, insieme al fratello Domenico, ad aprire la cava di Colle San Marco nell’estate del 1952. Acquista l’area dalla facoltosa famiglia dei Corpi quando i primi sondaggi hanno dato buon esito.

 

(L’articolo continua dopo la foto) 

Mario Giuliani, a destra, e il fratello Domenico, a sinistra, negli anni ’70

 

I ricchi giacimenti di Colle San Marco, nascosti sotto lo strato di terreno superficiale, si sono formati da uno a due milioni di anni fa, per sollevamento della crosta terrestre. Quello che è certo è che sono molto più antichi di quelli della vicina Acquasanta Terme, dove la pietra è più pregiata, ma anche più tenera e meno resistente. Gli scavi, seminascosti alla vista su ogni versante, non impatteranno neanche troppo sull’ambiente, anche se la sensibilità green è ancora di là da venire. Inizialmente si fa tutto a mano. I cunei e tondini di ferro vengono piantati nella roccia a forza di mazzate. Attrezzature primordiali che si evolvono con l’esperienza ed il progresso.

Lavori in cava anni ’50

 

Le tecnologie arriveranno, lentamente, nei decenni successivi. Solo negli anni Sessanta Mario andrà a fino a Carrara ad acquistare un sistema a filo passante d’acciaio intrecciato, elicoidale come si chiamava, usato insieme all’acqua e alla sabbia di mare nell’apposito carotaggio. Era l’attrito, infatti, a tagliare la pietra, perché la sabbia silicea è più dura del travertino.

 

«Per “affettare” una lastra – ci spiega sempre Giuliano Giuliani – da dieci metri per dieci si impiegavano due settimane. Oggi il filo d’acciaio porta incorporati tanti anelli di diamante, e l’operazione sulla stessa superfice richiede solo un giorno e mezzo. Dopo il taglio la lastra cade in terra e, a causa della particolare sedimentazione, la successiva operazione di fratturazione risulta più agevole».

 

La cava Giuliani arriverà a contare fino a una decina di addetti. Tutti locali.

 

Mario e i suoi riducono le dimensioni dei blocchi, li squadrano per farne materiale da costruzione, come massicciate e muri maestri, o, comunque, destinati all’edilizia che sta conoscendo il suo boom. I cascami e i detriti di lavorazione vengono invece venduti come materiale da riempimento anche per le gabbie di sostegno degli argini stradali.

 

«I blocchi più grandi e belli – continua sempre Giuliano – erano destinati in larga parte alla Pellei Colombo di Brecciarolo, che esportava i suoi lavorati anche all’estero. Fra i clienti più importanti figuravano anche la Orsini, e la Cagnetti & Ferri, che, con i loro macchinari e lame al widia, tagliavano a fette i blocchi ricavandone per lo più piastrelle da pavimentazione».

 

Lavori in cava negli anni ’50

 

Dopo l’uscita dall’attività del fratello Domenico, Mario prosegue l’attività estrattiva insieme ad alcuni operai.

 

«Mio padre sapeva fare tutto – racconta Giuliano – riuscendo a riparare da solo ogni guasto, ad intuire ogni forma di ottimizzazione nelle varie fasi del proprio lavoro. Nato come fabbro, ha creato da solo molti dei ferri indispensabili per l’estrazione del travertino. Non solo. In assenza di sollevatori, gru o carroponti, per i carichi dei blocchi estratti, si è ingegnato a realizzare delle fosse per portare i pianali dei camion a livello delle lastre da caricare che vi venivano trascinate sopra con l’ausilio di argani».

 

Fatiche immani per soddisfazioni altrettanto grandi. Quelle che vanno ben oltre il trarre sostentamento economico per il miglioramento delle condizioni della propria vita. Quelle, ben più nobili e ripaganti, del fare, e saper fare bene. Che, da sole, possono dare senso ad una esistenza. Ed essere seme prezioso per la crescita delle generazioni successive.

Lavori in cava negli anni ’50 benedetti anche dal parroco

 

Il saper fare bene

 

Mario Giuliani è un generoso per natura. Ad un giovane meritevole, che sarebbe diventato poi suo dipendente, presta una bella somma di denaro per permettergli di comprarsi la casa. Senza nulla di scritto, senza interessi e senza garanzie. Sulla parola e sulla fiducia. Guardandosi negli occhi, con una stretta di mano, che valeva, una volta, più di ogni contratto. I risultati delle fatiche e dell’ingegno di Mario Giuliani, e di tutti gli uomini che hanno lavorato con lui nella sua cava, sono ancora lì.

Lavori in cava negli anni ’60

 

Ma la memoria, anche nel campo del lavoro, va custodita, e tramandata. Pochi sanno, ad esempio, che anche il pavimento di Piazza del Popolo, il salotto buono di Ascoli famoso nel mondo, viene proprio dalla cava Giuliani. Un travertino di casa nostra, che per quasi mezzo secolo ha contribuito all’edilizia, pubblica e privata, del territorio. Insieme a Giuseppe Mascetti e ai suoi tecnici dell’Elettrocarbonium, Mario Giuliani avrà inoltre un ruolo determinante anche nella realizzazione del campo di calcio “Santa Maria” di Carpineto, a servizio dell’ex Seminario vescovile, che l’azienda ascolana ha preso in comodato d’uso dalla Curia.

 

Il campo Santa Maria di Carpineto con i muri a pietra della cava Giuliani

 

Tre anni di lavori, dal 1976 al 1979, sono necessari per ricavare un terreno di gioco regolamentare su un costone roccioso scosceso fatto saltare con l’esplosivo grazie alla ditta Stocchetti. Mario Giuliani, anche se estrae ormai sempre meno dalla sua cava, recupera e squadra tutti i blocchi di pietra con i quali vengono realizzati gli imponenti terrazzamenti, e i muri a secco di contenimento. Un capolavoro di perizia tecnica, e, soprattutto, di perfetta integrazione della faraonica opera con l’ambiente circostante, praticamente a impatto zero. La grandiosità e l’armonia di un’opera che continuano, ancora oggi, ammirandola, a togliere il fiato. Opera, e lascito alla collettività, da parte di grandi uomini che erano animati da un solo, comune, nobile, fine. Fare bene. Per il bene di tutti.

Il campo Santa Maria di Carpineto visto dall’ex seminario vescovile

 

 

Lo scultore

 

Giuliano Giuliani è nato ad Ascoli Piceno il 24 marzo 1954. Ha iniziato quasi subito a scolpire la pietra. Scalfendo un grosso masso che affiora dalla terra imprigionato dalle radici di una quercia. Un impulso innato, una sorta di strano gioco, per lui, a quella età.

 

«In realtà – confessa – io non ho mai saputo cosa avrei fatto da grande. L’arte mi ha inseguito. Ho frequentato l’accademia per fare lo scultore, ma in Ascoli non c’era nulla. Né gallerie d’arte, né, tanto meno, critici. Nel partecipare al mio primo concorso mi fu chiesto se disponessi di qualche conoscenza importante, altolocata, che potesse raccomandarmi. Restai sbalordito».

 

Si diploma nel 1975 all’Istituto Statale d’Arte di Ascoli Piceno. Ammira, e forse si ispira, al franco-romeno Constantin Brancusi, esponente delle avanguardie storiche del primo Novecento. Nello stesso anno tiene già la sua prima mostra personale alla Galleria Nuove Proposte della sua città, dove presenta dodici suoi lavori in travertino.

 

All’Accademia di Belle Arti di Macerata è allievo di Valeriano Trubbiani nella sezione di scultura. Come capita a quasi tutti gli artisti, sensibilità e tecniche si evolvono negli anni. Dagli anni Novanta la sua espressività raggiunge la fase più matura. Cambiano la sua ricerca delle forme, ora concave o convesse, svuotate e sottilissime, e il suo intervento sulla materia, ma resta immutato il suo legame viscerale con la pietra, a cui riconosce persino un’anima. Le opere di Giuliano Giuliani, oltre che in gallerie private, figurano in numerosi musei e parchi, oltre a prestigiose collezioni di arte contemporanea. L’omaggio più significativo della sua città lo ha vissuto, forse, con una mostra allestita alla imponente e austera, anch’essa tutta costruita in pietra dura e pura, Fortezza Malatesta.

 

Alle sue opere solo di rado Giuliani ha aggiunto materiali diversi, ma sempre naturali, come legno, gesso, o filati. Continua ad usare ancora, prima dei levigatori elettrici, strumenti arcaici, mazzuoli e graffioni, che lo riportano ai sudori, e alle mani forti e callose, degli avi. Insegna un anno a Urbino, due a Fermo, otto a Macerata, e il resto della sua carriera di docente proprio al “suo” Istituto d’Arte “Licini” di Ascoli, fino al pensionamento. «Quando nei consigli di classe mi si proponeva di bocciare qualche studente – rivela – dovevano passare, prima di farlo, sul mio cadavere…». All’esame di quinta elementare, infatti, a causa della sua idiosincrasia per l’aritmetica, l’avevano bocciato. Fu, quello, un vero trauma per lui, che poi, da professore, ha sempre cercato di evitare ai suoi allievi.

Una delle opere di Giuliani esposte al Forte Malatesta

 

Il declino e la rinascita

 

Mario Giuliani ha lavorato nella sua cava fino all’ultimo, anche se, negli anni Ottanta, ne inizia il declino. Le imprese ascolane iniziano a rifornirsi, infatti, dalle cave del Lazio, che riescono ad applicare prezzi più bassi nonostante l’incidenza più alta delle spese di trasporto. Fatto questo dovuto ad una maggiore disponibilità di prodotto e minori costi di estrazione, perché i giacimenti, su un terreno pianeggiante, affiorano in superfice sotto pochi metri di terra. Inoltre, non da ultimo, la più bassa percentuale di scarto sui blocchi, che sono più compatti e meno friabili di quelli ascolani. Ma la vecchia cava è restata sempre nel cuore dei discendenti di Mario Giuliani, che se ne va nel 2008. La moglie, Pia Nicolai, classe 1923, lo raggiungerà cinque anni dopo. Gli aveva dato cinque figli: Luigi, nato nel 1946, Giovanni nel 1949, Rina nel 1951, Giuliano nel 1954, e Angelo nel 1955. Sono cresciuti tutti lì dentro, con la pioggia o sotto il sole, dando una mano al padre, respirando la polvere bianca del travertino di quella cava. Con l’amore per il lavoro e per la pietra. E proprio grazie a quell’amore la cava Giuliani ha potuto conoscere una nuova, seconda, luminosa, vita.

Giuliani davanti ad una sua opera. Sullo sfondo i vecchi tagli della cava

 

La Natura si è ripresa il suo spazio. Gli alberi sono cresciuti alti sui costoni intorno, e i prati verdi si fermano solo contro le pareti di pietra sbiancate dal sole. È tornato il silenzio. L’armonia degli elementi. Giuliano Giuliani ha ristrutturato con gusto la vecchia casa, che adesso è la sua, Le vecchie rimesse degli attrezzi sono diventati laboratori d’arte. Qui vengono scolaresche in gita d’istruzione, e brillanti laureati in accademie con borse di studio a formarsi alla sua scuola.

 

«Stiamo lavorando – annuncia Giuliani – con il commissario alla ricostruzione Guido Castelli, per istituire, di concerto con il Comune di Ascoli, una scuola di scultura. Il progetto è nato da un’idea di un carissimo amico, il celebre architetto e scultore svizzero Mario Botta».

 

Cantanti e musicisti scelgono questa vecchia cava come location, oltremodo suggestiva, per le loro performances. Dopo i Controvento nell’estate 2022, lo scorso anno Enrico Ruggeri e Renzo Avitabile, prima del già ricordato amico e compaesano Dario Faini, in arte Dardust, pochi giorni fa. Le scolaresche, soprattutto di scuole medie della provincia, vengono per conoscere il grande artista locale, ma anche la storia del sito. Per toccare con mano quel travertino con cui la nostra città è stata in larga parte edificata. Per apprendere come si è formato, milioni di anni fa, e come si è estratto per decenni con tecnologie primordiali quasi sempre ideate progettate e costruite dagli stessi operatori.

Giuliani con Daniele Antonielli davanti ad un’ opera in corso di Ado Brandimarte

 

Le basse colonnine metalliche arrugginite che sostenevano le ruote e permettevano la tensione e lo scorrimento delle corde da taglio, sono ancora visibili, piantate nella roccia. Il piccolo museo di attrezzi e utensili manuali, usati nel passato anche dal suo papà, che Giuliano Giuliani custodisce gelosamente, suscita sempre curiosità e stupore. La forza delle mani e dell’ingegno umano.

 

Non si è sempre e solo pigiato dita sulla tastiera di un telefonino. Geologia e storia, archeologia e tecnologia, ecologia e botanica, le materie che si toccano immersi nella pace del silenzio e nella Natura, rigogliosa tutt’intorno, che sta esplodendo in una nuova primavera. Fino all’arte, alla scultura figurativa di Giuliano Giuliani. La necessità dell’osservazione. La meraviglia della manualità. L’ammirazione per il saper fare degli uomini. Non solo con la mente, ma anche con le braccia, meglio, con le mani. Il mezzo più vicino alla mente secondo lui. Ora sta facendo da tutor ad un neolaureato a Macerata in Scenografia e Decorazione con il massimo dei voti, che ha beneficiato per questo di una borsa di ricerca regionale.

Il maestro vicino ai suoi attrezzi d’epoca

 

Si chiama Daniele Antonielli, è specializzato in street art e decoro urbano, ed ha il privilegio di avere Giuliano Giuliani come tutor. «Come mi dicono tutti – ammette – non avrei potuto trovare di meglio…».

 

In precedenza il maestro ha avuto come allievi anche dei migranti, riuscendo a trovare poi, ai migliori, anche un posto di lavoro. Alla cava Giuliani viene a creare anche un altro promettente artista, suo ex alunno al “Licini”, poi diplomato all’Accademia. Ado Brandimarte.

 

«Le pietre hanno un’anima, e di certo anche un Dio – ha scritto Giuliano Giuliani – in particolare il travertino, pieno di pori, pieno di vita, pieno di presenze …nasce dall’acqua e si stratifica, ingloba tutto ciò con cui interagisce da millenni …è una lavagna della storia, del tempo, del vissuto …ogni volta che si apre c’è un mondo che appare …è una materia legata alla terra, che non ha la lucentezza dei graniti, questo sapore del lusso, ma un legame autentico di chiarezza e bellezza …chi nasce in una cava, e vede gli uomini sudare al sole e bagnarsi sotto la pioggia nel fango, sente la necessità di esprimere forme, valori…estetici…ed etici…».

 

 



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