Gianni Schiuma ospite al Festival Storie: «Trent’anni fa si andava a ballare senza smartphone»

MONTEFIORE DELL'ASO - L'evento, a ingresso gratuito, si intitola "Una canzone ci salverà" ed è in programma venerdì 14 novembre al Polo Museale San Francesco: sul palco anche Manu Latini. L'intervista al deejay: «Quando rimasi ferito nel rogo del Ballarin»
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La locandina dell’evento

Nuovo e vivace ingresso nel cartellone della quinta edizione del Festival Storie di Montefiore dell’Aso, che si prepara ad una serata in cui la musica incontra la memoria. Venerdì 14 Novembre, alle ore 21,30, nel suggestivo scenario del Polo Museale San Francesco, tra pietra antica e profumo d’arte, due generazioni si confronteranno “a suon di canzoni e parole”: Gianni Schiuma, anima pulsante della nightlife adriatica, e Manu Latini, attore e regista dalla sensibilità contemporanea. Insieme porteranno in scena “Una canzone ci salverà”, un viaggio tra musica, ricordi ed emozioni che promette di far sorridere, ricordare e sognare.

 

Di seguito l’intervista a Gianni Schiuma, leggenda della consolle, voce di mille notti estive e di altrettante storie nate sotto le luci colorate della Riviera.

 

Gianni Schiuma

Gianni, com’è nato lo spettacolo?
«“Una canzone ci salverà” nasce da un’idea condivisa con Manu Latini, un attore che stimo molto e che oggi considero un grande amico. È stato lui a spingermi a portare la mia storia sul palco, a raccontare la mia vita attraverso la musica e le emozioni».

Il titolo dello spettacolo è potente. C’è davvero una canzone che, nella tua vita, ti ha “salvato”?
«Domanda difficile! Ho comprato più di quindicimila vinili e settemila cd, ascolto musica ogni giorno. Ho visto ballare milioni di persone in oltre centoventi locali tra Marche e Abruzzo, sono in questo mondo da 44 anni… scegliere una sola canzone è impossibile. Ma ognuna di esse, a modo suo, mi ha salvato un po’».

Hai fatto ballare intere generazioni lungo la Riviera adriatica. Cosa ricordi di più di quegli anni d’oro?
«Gli inizi, senza dubbio. Gli anni Ottanta: l’esplosione della musica elettronica, i Depeche Mode, i Cure, Madonna… anni sfavillanti, pieni di energia. Poi arrivò l’House Music, i club, i viaggi in giro per il mondo per ascoltare e imparare dai grandi DJ. È stata una scuola di vita, oltre che di musica».

Oggi il modo di vivere la musica è cambiato. Cosa è rimasto e cosa si è perso?
«Tutto cambia, ma l’essenza resta. Trent’anni fa si andava a ballare senza smartphone: il contatto era diretto, reale, la gente seguiva i DJ e la musica. Oggi la comunicazione è più facile, ma l’emozione resta la stessa. Nessun oggetto può sostituire la vibrazione che ti attraversa quando una canzone ti tocca nel profondo».

Si può dire che in Italia il ruolo del vocalist nasca con te. È così?
«Sì, mi è sempre piaciuto essere un vocalist “performante”. In realtà volevo fare il cantante, e ho trasformato quel sogno reinventandomi. Non sono mai stato il tipo da “su le mani”, ho sempre cercato un linguaggio legato alla poesia, alla filosofia, all’amore, all’emozione. Ancora oggi, dai venticinquenni ai sessantenni, molti ricordano le mie frasi, perché qualcuno gliele ha raccontate. Questo mi riempie d’orgoglio. Mi sono formato da solo, con umiltà, coraggio e un pizzico di provocazione, senza mai esagerare».

Sul palco condividi lo spazio con Manu Latini, molto più giovane di te. Com’è stato incontrarsi “a metà strada”?
«La musica non ha età. Arriva e basta. Ognuno di noi ha una canzone che, in un preciso momento della vita, ha lasciato un segno: un ricordo d’amore, d’infanzia, di felicità o dolore. In questo spettacolo due generazioni completamente diverse raccontano dieci brani ciascuna, fermando il tempo e ricordando l’istante in cui quella canzone ha inciso la propria vita. E lo facciamo giocando, con leggerezza e verità».

Se dovessi dedicare una canzone alla tua amata Sambenedettese, quale sarebbe?
«Dedicherò un momento molto intenso alla Samb, legato a una data indelebile: il 7 giugno 1981, il rogo del Ballarin. Lì persero la vita due ragazze giovanissime. Io rimasi ferito, passai due mesi in ospedale. Racconterò quel momento con due brani: In the Air Tonight di Phil Collins e London Calling dei Clash, uno dei miei gruppi preferiti. Sarà un omaggio alla memoria, alla vita e alla forza di rialzarsi».


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