di Marzia Vecchioni
Questa è la storia di Alaska, 22enne di Ascoli, ragazzo non binario (termine per definire le identità di genere, che non sono completamente né maschili né femminili), che studia Scienze della Comunicazione all’Università di Macerata. Ha scelto il pronome femminile per definirsi. Da adesso utilizzeremo quello.
«Tuttora ho molte domande in sospeso sulla mia identità di genere e sul mio orientamento sessuale, ma posso senza dubbio affermare che verso i 15 anni ho iniziato a intuire che non rientravo nella normatività eterosessuale-cisgender (indica le persone la cui identità di genere corrisponde al genere e al sesso biologico, ndr) -racconta-. Inizialmente è stato molto difficile accettare che provavo attrazione anche per gli uomini; l’educazione cattolica che ho ricevuto mi aveva portata a interiorizzare una forte omofobia».
La ragazza racconta i suoi coming out.
«A 16 anni con le mie compagne di classe ho fatto coming out come bisessuale, credendo di esserlo, ed è andata bene perché non mi hanno mai giudicata -aggiunge-. A 17 anni mia madre prendendo il mio cellulare, ha scoperto una conversazione tra me e una mia amica in cui questa mia conoscente avrebbe voluto farmi incontrare un ragazzo. Ha avuto un attacco di panico e si infuriò con me perché per lei ero troppo “macho” per provare attrazione per i ragazzi. Mentre mio padre ancora non sa nulla perché i rapporti con lui sono tesi già nella quotidianità».
Con il mondo degli “adulti” in generale, Alaska ha sempre avuto una grande difficoltà ad aprirsi su questi argomenti.
«A farmi stare male, però, sono stati soprattutto i ragazzi bisessuali e gay da cui ho avvertito una certa distanza, perché quelli con cui mi sono approcciata hanno puntato direttamente al sesso, non guardando oltre quello -va avanti Alaska-. Inoltre alcuni che ho conosciuto hanno una sorta di repulsione verso i non binari e gli asessuali (individui con mancanza di attrazione sessuale, assenza di interesse verso qualunque sesso, ndr)».
Dopo alcune esperienze che ha vissuto sia emotive che sessuali Alaska ha capito di essere demisessuale, cioè un individuo riesce a percepire attrazione sessuale solo per persone con cui ha un forte legame emotivo.
«Non sono mai stata una persona libertina, anzi, ogni volta che ho avuto un’esperienza sessuale con qualcuno di emotivamente estraneo, per il quale non provavo una forte attrazione mentale, ho percepito il tutto come una mancanza di rispetto verso me stessa -spiega-. Il pensiero di un rapporto sessuale fine a sé stesso mi ha sempre messa a disagio. Tuttavia mi è capitato qualche volta di provare un’attrazione mentale così forte con determinate persone da desiderarle sessualmente. Riflettendo su queste cose ed esplorando a fondo l’universo LGBT+, ho capito di essere demisessuale».
«Mi sono riconosciuta prevalentemente nel genere femminile, anche se accetto, ma non del tutto, il mio corpo maschile dice Alaska-. Una difficoltà che incontro, forse la più grande, è quella legata all’utilizzo del nome e dei pronomi. Le persone che mi conoscono da prima che mi dichiarassi non binaria, si rifiutano, spesso, di rivolgersi a me con il nome che ho scelto e i pronomi femminili. Anche se so di essere Alaska, che sono consapevole di me stessa, il loro atteggiamento mi fa sentire in imbarazzo ad aver scelto di utilizzarli».
Riguardo al coming out, dopo la lite avvenuta un po’ di anni fa con la mamma, non ne hanno parlato per molto tempo e solo di recente la ragazza ha ripreso l’argomento dicendole di essere bisessuale: «Lei mi ha detto che aveva già capito, e che dopo il litigio che era avvenuto aveva accettato la cosa. Le ho detto di essere bisessuale per prepararla un passo alla volta alla mia vera realtà».
Per quanto riguarda le discriminazioni, alla scuola media, spesso hanno urlato dietro ad Alaska insultandola per la sua presunta omosessualità. «Ho ricevuto intimidazioni da parenti e compagni di scuola maschi perché per un periodo mi truccavo -rivela-. Una volta mio padre mi ha trovata con della matita intorno agli occhi e aveva intenzione di picchiarmi; i miei coetanei mi prendevano in giro dicendomi “Ci dobbiamo mettere un tappo in c*lo?”».
Alle superiori Alaska ha vissuto altre esperienze. «Il professore di religione -racconta- tirò fuori l’argomento delle unioni civili, e disse che anche essendo a favore delle coppie gay sosteneva che non si sarebbero dovuti sposare o adottare figli con la classica motivazione “i bambini hanno bisogno di un padre e una madre”. Un altro professore spesso faceva battute discriminatorie nei confronti di donne e dei membri della comunità LGBT+».
«Probabilmente Ascoli, avendo meno abitanti di città come Pesaro o il capoluogo Ancona e non essendo una città universitaria, è arretrata su molti temi sociali -ribadisce Alaska-. Sarebbe molto utile dare importanza alle minoranze nel territorio, attraverso la creazione di associazioni volte a promuovere l’inclusione sociale».
«Mi auguro che nessuno debba più nascondere il proprio orientamento sessuale e la propria identità di genere -conclude-. Spero anzi che questi diventino fattori del tutto trascurabili nel giudizio di una persona, e che la gente decida di conoscere a fondo il mondo LGBT+, senza ridurlo a semplificazione e stereotipi».
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