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Quanto costa la guerra alle Marche? «Oltre 560 milioni di Pil, il crollo dei consumi e la perdita di competitività dei prodotti»

ECONOMIA - I dati elaborati dal Centro di ricerca per la Valutazione delle Politiche Territoriali dell'Università degli studi di Macerata: si stima una minor crescita del Prodotto interno lordo regionale di 1,5 punti percentuali. Il professor Socci: «Nell’immediato il ruolo del Governo regionale dovrebbe essere volto a garantire alle attività produttive la liquidità necessaria al superamento della crisi»
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Claudio Socci, docente Unimc

 

di Alessandra Pierini

 

L’Ucraina e la Russia sono molto più vicine alle Marche di quanto abbiamo pensato fino ad oggi. Se una pandemia mondiale ci ha fatto comprendere negli ultimi due anni quanto il comportamento di ognuno di noi ha un peso per intere comunità, la guerra in Ucraina ci sta dimostrando non solo a quali livelli di follia è capace l’uomo, ma quanto l’economia rappresenti ormai un unico blocco mondiale. E se nelle guerre c’è sempre chi ci guadagna, è evidente che in questo caso non saranno né L’Europa, né l’Italia. E tanto meno le Marche, alle quali la guerra potrebbe costare una minore crescita dell’ 1,5% del Pil regionale, cioè circa 565 milioni di euro.

Questo stando ai dati sviluppati dal Centro di ricerca per la Valutazione delle Politiche Territoriali dell’Università degli studi di Macerata. I docenti Claudio Socci, Rosita Pretaroli, Francesca Severini e Stefano Deriu hanno infatti fatto un quadro preciso e, purtroppo, non rassicurante dell’impatto economico della crisi Ucraina nella Regione Marche.
Innanzitutto le famose sanzioni applicate alla Russia. «Il territorio della regione Marche  – si legge nello studio – subirà le conseguenze di questo evento in ragione dell’attuazione delle sanzioni relative alle esportazioni e attraverso l’incremento dei prezzi dei prodotti energetici. Le attività produttive localizzate sul territorio regionale delle Marche che hanno come mercato di sbocco quello russo pesano per circa il 3% (circa 280 milioni di euro) del totale dei beni esportati. I principali comparti interessati riguardano Agroalimentare, Tessile-Abbigliamento, Calzature pelletteria, Mobili e prodotti in legno, Edilizia, Materiali per costruzioni, Elettrodomestici e Apparecchi elettrici, Meccanica, Argenteria, gioielli; strumenti musicali; giochi e giocattoli». In pratica tutti i settori produttivi marchigiani. E non ci sono, evidentemente, buone notizie, neanche per le famiglie.

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«Volendo effettuare  – prosegue lo studio – una stima preliminare su quanto costerà al sistema economico regionale marchigiano il conflitto fra Russia-Ucraina, si deve tenere in considerazione che, in seguito all’attuazione delle sanzioni, registreremo una caduta diretta, indiretta e indotta del Pil superiore all’1%. A tale impatto è necessario aggiungere l’effetto negativo che l’incremento dei prezzi dei prodotti energetici determinerà sulle attività produttive e sulle scelte di consumo delle famiglie. Da un lato, l’incremento del prezzo dei prodotti energetici contribuirà ad accrescere i costi di produzione, inducendo pertanto una perdita di competitività dei prodotti locali che potrebbe indurre molte imprese a stoppare, seppure temporaneamente, i processi produttivi perché non più convenienti. Dall’altro, l’aumento dei prezzi dei prodotti energetici condurrà ad un incremento dei costi dell’energia per le famiglie, la spesa energetica, incidendo pertanto sulle decisioni e sulla combinazione dei consumi delle Famiglie, innescando dei meccanismi noti di contrazione di alcuni tipi di spesa».

In conclusione la guerra, come già detto, potrebbe determinare una minore crescita del Pil della regione Marche di circa l’1,5%. «Tale stima – precisa lo studio –  non considera ulteriori effetti negativi che potrebbe scaturire dalle interdipendenze produttive che la regione ha con altri Paesi che stanno adottando a loro volta sanzioni verso la Russia».

 

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«Il perdurare dell’evento bellico potrebbe mettere in crisi interi comparti produttivi sia in termini di mercato di sbocco dei prodotti, sia in termini di mercato di approvvigionamento delle materie prime spiega Socci – Il reperimento delle materie prime in nuovi mercati di approvvigionamento rappresenta un’operazione costosa e in alcuni casi potrebbe richiede adeguamenti tecnici. Allo stesso modo, l’acquisizione di nuovi compratori in mercati di sbocco alternativi rappresenta un’operazione complessa, che solitamente richiede un orizzonte temporale non di breve periodo».

«In questo quadro, potrebbe essere necessario delineare un intervento di politica economica strutturato su due livelli (Governo centrale e regionale) con un orizzonte temporale di brevissimo e di medio termine  – conclude il prof Unimc – In particolare, nell’immediato il ruolo del Governo regionale dovrebbe essere volto a garantire alle attività produttive la liquidità necessaria al superamento della crisi. Una moratoria sul pagamento delle rate dei mutui e dei finanziamenti della durata delle sanzioni, abbinata ad una politica di accesso agevolato e garantito al credito, consentirebbe di tamponare l’emergenza legata alla potenziale carenza di liquidità prevista. Allo stesso tempo, si potrebbe prevedere un piano di ristoro selettivo per le attività produttive interessate dal blocco che opererebbe di concerto con l’ammortizzatore automatico già attivo e che riguarda la rimodulazione dell’aliquota Irap sulle attività produttive».



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