Le maestre di una volta / Ada Giganti, 103 anni: «Dalla guerra all’insegnamento, vinsi tutti i concorsi»

ASCOLI - Ultracentenaria, dalla incontenibile vitalità che non ha mai perso, consiglia a tutti di ridere, per riuscire a vivere a lungo come lei. Ha insegnato in molte scuole della vallata e conserva ancora i regalini che le hanno fatto i suoi alunni alla fine di ogni anno scolastico. Seconda parte della nostra nuova rubrica dedicata alle maestro storiche del Piceno
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Scuola di Castignano, 1960: Ada Giganti è in alto a sinistra

 

di Walter Luzi

 

Ada Giganti, la maestra, è un vero fenomeno della natura. Ha 103 anni. Sì, 103. Alle casse dell’Inps sta tirando un gran bel colpo basso, da standing ovation, continuando a riscuotere la sua meritata pensione, grazie al buon Dio, da ben 46 anni. Centotre anni. E ti sconcerta ancora, Ada, per la vitalità, l’energia, l’humor, le risate. Parla, si racconta, marchiando con una di queste ogni passo saliente. Un intercalare di contagiosa allegria che ha accompagnato, e continua ad accompagnare, tutta la sua lunghissima esistenza. Ingrediente questo, dunque, fondamentale per una longevità che non è solo quantità anagrafica, somma di anni, ma che è qualità di spirito, differenza di visione e di atteggiamento di fronte alle prove della vita. Che non le sono mancate di certo.

Ada Giganti con i genitori e il fratellino Carlo nel 1930

 

Le paure della guerra, e i pregiudizi, sulla via, lunga e faticosa, di una piena emancipazione femminile, che ha saputo combattere e vincere sempre con la stessa, disarmante, arma. Seppellendole con una risata. Il timbro della sua voce è ancora forte, come quando spiegava tutte le materie dalla sua cattedra di scuola elementare. Non trema, non si rompe mai.

 

Le sue parole non si velano mai di tristezza, di malinconia, di rimpianto. L’udito le è un po’ calato, qualche nome, o data, anche comprensibilmente, le sfuggono, ma senza imbarazzo. Il deambulatore appare come un utile optional, ma che persino stona con la sua verve, con la sobria eleganza del suo vestire, quel tocco di raffinato civettuolo a cui nessuna donna dovrebbe mai rinunciare. Come ai colori, le collane e gli anelli, che, come tutti i ricordi di una vita, ci appartengono. Ci identificano. Fanno parte di noi, e della nostra anima. Sempre.

 

Banale, arriva, in questi casi, la solita domanda. Il suo consiglio, visti i risultati, va seguito. «Volete vivere a lungo?… Ridete tre volte al giorno…». Parola di Ada Giganti. La maestra.

 

Il bel Danubio blu

 

Ada inizia sillabando la sua data di nascita. «Sono nata il dieci novembre 1923 in via della Fortezza». Frequenta le scuole elementari dalle suore Concezioniste, ma i genitori non sono soddisfatti «Troppe preghiere e poca istruzione, lì dentro…». Sentenziarono.

 

Dopo il conseguimento della licenza elementare, infatti, spostano subito la figlia nella scuola pubblica, quella di San Domenico, in cima a via Pretoriana, dove fanno ripetere alla figlia l’esame di quinta elementare. Quindi le medie, e poi le Magistrali. «I miei anni scolastici me li ricordo bellissimi. Studiare mi piaceva. Ero bravina a scuola. Ricordo i sabati fascisti, quando andavamo a scuola con la bella divisa riservata a noi ragazze Balilla. La camicetta bianca, la gonna nera a pieghette, e il mantello nero. E poi i saggi ginnici che facevamo allo “Squarcia” a fine anno scolastico».

Al mare negli anni 50

 

Canta anche, Ada, nel coro diretto dal maestro Francesco “Checco” Bonelli, nei locali della Gil a Campo Parignano. Anche se qualcosa, comprensibilmente, le sfugge, si ricorda ancora, a mente, le strofe dei motivi, anche di musica classica, che cantava. Ne attacca, improvvisando a cappella, anche uno che le piaceva particolarmente, Sul bel Danubio blu di Johann Strauss: «…onda che vien, onda che va, riflesso blu, di luna park…». È contenta, come allora, di tornare a canticchiarla per noi. E la contentezza, vicino a lei, diventa contagiosa.  

 

L’addio agli studi universitari

 

Ada ha avuto la forza di prendere come un gioco anche la guerra.

 

«Quando suonavano le sirene di allarme aereo – ci racconta – correvamo via verso i rifugi a Porta Romana, ma io non avevo veramente paura, tanto poi non ci bombardavano mai per davvero. Anzi. C’era un ragazzo a cui piacevo che non aspettava altro, quando suonava la sirena, per venirmi a chiamare, e correre via insieme a ripararci, solo per poter stare un po’ da soli…».

 

Ride ancora Ada, questa incredibile, bella, ed elegante signora, che si fa beffe delle sue 103 primavere, ricordando quei momenti. Quasi fino alle lacrime. E noi con lei. Dopo il diploma, conseguito in piena guerra in corso, nel 1942, si iscrive all’Università di Urbino che frequenta per due anni, ma quando si trova a dover acquistare un libro costosissimo per l’epoca, settanta lire, piuttosto che gravare economicamente sulla sua famiglia, di condizioni pure agiate per i tempi, interrompe i suoi studi. Il padre, e patriarca, Nicola, forte di un buon stipendio statale, e la mamma, Ines De Dominicis, ovviamente casalinga, infatti, sono contrari all’idea che lei prosegua negli studi. E, ancor più, al fatto che lei lavori. Che voglia realizzarsi nell’insegnamento, che ambisca alla sua indipendenza economica, e a poter fare delle libere scelte nella propria vita. In estate si può solo dedicare ai bambini prestando opera di sorvegliante educatrice nelle colonie estive al mare, che le piace molto.

 

«Stiamo bene in questa famiglia – le intima, contrariato, più volte, il padre – non hai bisogno di soldi, né di lavorare. Ti mantengo io, tu non devi preoccuparti di null’altro…».

 

Il testo continua dopo le immagini 

Educatrice in una colonia estiva nel 1954

Ritratto di Ada dello studio Coppola

 

Lasciando intendere di riporre in lei ben altre aspettative. Le solite. Quelle tradizionali. Un marito per cominciare. E al più presto. Ma non uno qualsiasi. Uno, ovviamente, di buona famiglia, un buon partito come si diceva allora, un benestante, nonostante i tempi, come loro. L’amore, i sentimenti, la compatibilità caratteriale, le affinità, la condivisione di interessi e passioni comuni, sono unanimemente considerati, all’epoca, concetti astrusi. Di poco, o nullo, rilievo, per una donna che deve maritarsi. La famiglia tradizionale, la maternità, ancora oggi sbandierati con, spesso patetica e ipocrita, per convenienza politica, priorità irrinunciabili per ogni donna. Vista, all’epoca, nel suo unico e ineluttabile ruolo sociale di sguattera domestica, fattrice e allevatrice infaticabile delle future baionette del regime. Lei ne soffre molto, ma si rassegna ad obbedire. Almeno fino a quando il padre resta in vita.

 

L’insegnamento

«Pensi che ho vinto tutti i concorsi pubblici a cui ho partecipato – racconta fiera Ada – il Provveditore di Ascoli dell’epoca, Luigi Mercantini, che mi ha stimato, e voluto bene, tantissimo, l’ho visto per la prima volta quando mi convocò nel suo ufficio. Era rimasto molto colpito da un mio tema, ma era anche convinto che lo avessi copiato. Lo rassicurai, e mi credette».

 

E va avanti, come sfogliando il suo album dei ricordi.

«Il mio primo esame orale di concorso me lo ricordo ancora. Gli esaminatori mi dissero: faccia conto che noi siamo i suoi alunni, e improvvisi una lezione. Allora alzatevi subito in piedi e prima di cominciare recitiamo subito una preghiera. Dissi. Scoppiarono tutti a ridere, ma, evidentemente, feci loro una buona impressione».

 

Scuola di Monsampolo, 1973

 

Altri tempi, rispetto ad oggi quando appare esigenza pressante, prioritaria, pur con i tanti gravi problemi che assillano la nostra bistrattata scuola, rimuovere i crocifissi appesi nelle aule. «Oggi i tempi sono di molto cambiati – concorda Ada – un tempo una insegnante doveva provvedere a tutte le materie. Oggi lo stesso lavoro lo fanno in tre. Spesso, mi dicono, in competizione fra loro, e anche con metodi di insegnamento, temo, diversi. Non credo che questo sia un bene per i bambini».

 

È cambiato anche il rapporto fra insegnanti e genitori. «Decisamente – concorda Ada – ai miei tempi non venivano a parlare con noi per difendere i loro figli. Anzi. Ci consideravano preziosi collaboratori per la loro istruzione ed educazione, fino al punto di sentirsi addirittura in dovere di sdebitarsi. Tramite i figli mi facevano portare in classe tante di quelle patate… Erano i genitori, un tempo almeno, a pretendere che fossimo esigenti e inflessibili con i loro bambini. Ricordo direttori didattici prendere, letteralmente, a calci nel sedere gli alunni più indisciplinati e irrispettosi. Oggi finirebbero in galera…».

 

Insegnerà. Fra le altre sedi, a Monsampolo, Castignano, Sambuco, Villa Piattoni, e Castel di Lama. Ha avuto fra i tanti suoi direttori scolastici, che ricorda con affetto e stima, Oscar Panichi e il cavalier Antonio Melchionna. Ha rimosso i ricordi tristi, gli episodi spiacevoli della sua vita, Ada. Un buon modo, questo, come detto, per riuscire a vivere serena. E a lungo.

 

Gli amori

 

Il primo incontro con l’uomo che diventerà suo marito è per motivi di servizio.

 

«Venne a casa – racconta Ada – per verbalizzare i danni che aveva provocato il terremoto, e disse di essere siciliano. Qualche tempo dopo lo incontrai di nuovo, per caso, in una sala da ballo improvvisata in uno dei locali del Distretto militare. Io ero insieme ad una mia amica. Lui in compagnia di una donna, con la quale, seppi dopo, era fidanzato da molti anni. Osservandolo da lontano, notai le porgeva, con cavalleria, la sedia alle sue spalle ogni volta che lei si sedeva. Rimasi folgorata da tanta gentilezza. Non ero abituata a vedere uomini con tanta attenzione per la propria donna. A cominciare dal mio fidanzato di allora… Questo qui mi piace proprio, mi dissi. La fortuna volle che ci rincontrassimo ancora. Successivamente, in quella sala da ballo. Stavolta soli. Ci eravamo lasciati, nel frattempo, con i rispettivi fidanzati, entrambi. Ballammo sempre insieme quella sera, e non ci siamo lasciati più».

Il matrimonio a San ‘Emidio alle Grotte il 2 febbraio 1963

 

Ma Ada ci racconta anche un altro retroscena delle sue vicende sentimentali. Amaro per certi versi, e indicativo, ancora, sulla considerazione dell’epoca per le donne. Dolcissimo, invece, per altri. «Il mio primo fidanzato – confessa Ada – mi aveva lasciato solo perché convintosi che io avrei mai potuto avere figli. Mi aveva portato, infatti, a farmi visitare da tutti i medici della città, che, alla fine del giro, avevano convito anche me che fossi davvero sterile. Ne soffrii, e piansi, a lungo. Mi sentivo mortificata per quella considerazione calcolata solo sulla base della mia fertilità. E di niente altro. E invece potete immaginare l’incredulità, e la grandissima gioia, quando con il mio Nicola, restai subito incinta».

 

Giuseppe, il suo primo e unico figlio, nasce nel 1963.

 

Ada con il marito e il loro piccolo Giuseppe nel 1963

 

Ma ad Ada è rimasto impresso il ricordo del suo primo, lungo viaggio in Sicilia, per conoscere i tanti parenti del suo futuro marito, Nicola Di Caro. «Ci aspettavano tutti intorno ad una stanza – ricorda – seduti sulle sedie per le presentazioni ufficiali di rito. Poi ci fecero una gran festa. Era accorsa, per l’occasione, tantissima gente, ed io non ho mai più vissuto una festa così bella».

 

Marino, il suo alunno prodigio

 

Dietro la vetrinetta di un mobile del soggiorno conserva ancora tutti i doni di fine anno scolastico che le hanno fatto i suoi ragazzi. Non può ricordarsi le scuole, o gli anni, né, tanto meno i nomi di ciascuno di loro, ma le emozioni condivise di quei momenti, quelle sì. Quelle le si leggono bene ancora negli occhi che luccicano. Porta ancora al collo, ce la mostra accarezzandola, una bella collanina, che i suoi alunni le regalarono tantissimi anni fa, alla fine del loro percorso scolastico delle Elementari, come si chiamavano una volta. Poi i nomi si sono fatti via via, come in ogni ambito pubblico, sempre più difficili e di complicata comprensione. Una moda ricorrente.

 

Scuola di Sambuco, 1976

 

Così come, di pari passo, le risorse, i fondi, da destinare alla scuola, sempre più scarsi. Fino ai giorni nostri, quando si torna a preferire di investire in bombe e carri armati, piuttosto che in istruzione e cultura. Che vergognosa pena. Ride di gusto, mentre parla, Ada, nel ricordare tanti aneddoti. «Avevo un alunno a Monsampolo – racconta – si chiamava Marino, che sapeva fare a mente tutti i calcoli. Quando stavo ancora dettando i problemi di aritmetica alla lavagna, lui già alzava la mano per dire la soluzione. Un vero bambino prodigio».

 

Conserva tantissime sue foto Ada, di quando era una bellissima ragazza. Molte in costume da bagno, al mare. Molte altre, nelle quali figura sempre  elegantissima, sarebbero degne di comparire sulle riviste di moda patinate.

 

Ada al mare nel 1953

 

«Ricordo le stufe di terracotta – prosegue Ada Giganti – che le bidelle venivano, di tanto in tanto, ad alimentare con i pezzi di legna. Le lavagne nere, e i gessetti bianchi, che stridevano sulla sua superfice. I grandi cartelli per le prime classi con le immagini che aiutavano i bambini a memorizzare le lettere dell’alfabeto. La o di oca, la f di farfalla. I due unici libri necessari, il sussidiario che copriva tutte le materie, e quello di lettura. I temi, i riassunti, i dettati, l’aritmetica con le sue operazioni. E poi le gite scolastiche con i bambini, a Roma soprattutto. Per il resto, nel corso della mia lunga carriera di insegnante, penso di essere stata una maestra normalissima».

 

Scuola di via Napoli, ad Ascoli, nel 1986

 

Nel 1989 arriva anche per lei il meritato pensionamento. Senza sapere di essere destinata a seppellire sotto l’immancabile risata, anche ogni più cinica e interessata previsione di aspettativa media di vita calcolata dall’Inps.

 

Ada Giganti oggi con l’unico figlio Giuseppe

 

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