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La valle delle abbazie
Presenze monastiche in Val di Chienti

STORIA E TERRITORIO - Alla scoperta della zona delimitata dal corso del fiume che una volta segnava il confine tra le province di Macerata e Ascoli. Paesaggi medievali, architetture, chiese per un suggestivo unicum storico e ambientale
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La facciata della chiesa abbaziale di Santa Maria a pie’ di Chienti. In alto, a destra, la meridiana (spiegazione nel testo)

testo e foto di Gabriele Vecchioni

Il Chienti (l’antico Cluentum) è uno dei fiumi più importanti delle Marche meridionali; il suo corso limitava, a settentrione, la provincia picena fino allo smembramento, nel 2009 (ma l’istituzione è del 2004), nelle due entità minori di Fermo e Ascoli Piceno; attualmente, la valle costituisce il confine tra le province di Fermo e Macerata. Era un’importante via di comunicazione con il Tirreno: univa la costa adriatica a quella occidentale, tramite il valico di Colfiorito; il territorio era controllato da diversi oppida (Pausolae-Corridonia; Urbs Salvia-Urbisaglia; Tolentinum-Tolentino) e dalle stationes (una era l’attuale Pievebovigliana).

Vista laterale dell’imponente struttura dell’edificio religioso (ph C. Perugini)

Il paesaggio medievale. Nonostante si ricordino, in epoche storiche, diverse esondazioni del fiume (l’ultima c’è stata nel marzo 2016) che impaludavano le golene, nel Medioevo la valle del Chienti era per­corsa da mercanti, pellegrini e soldati; anche chi partiva per le Crociate passava di qui, per raggiungere Ancona, uno dei porti di imbarco per la Terrasanta.

Nell’Età di mezzo, il territorio vide l’opera dei benedettini, le cui chiese e abbazie seguivano la rigida Regola di San Benedetto; c’era un continuo contatto con la popolazione: con essi iniziarono i patti agricoli e lo sfrut­tamento razionale dei terreni. I contratti di conduzione dei fondi erano riferiti a terreni novali (dissodati di recente), ad partionem (legati alla resa agricola) e ad pastinandum (legati all’impianto colturale, per es. di vite o olivo – il pastinum era lo strumento di lavoro del pastinatore, il bidente); da quest’ultimo tipo di contratto deriverà quello di mezzadria, che ha “segnato” per lungo tempo la vita dei contadini delle Marche. Il miglioramento delle condizioni economiche (e di vita) portò a un forte incremento demografico: si svilupparono i borghi d’altura e nacquero le fiere, che si tenevano negli spazi davanti alle chiese, dove spesso si trovavano le botteghe.

Abside polilobato di Santa Maria a pie’ di Chienti. Ben riconoscibile la struttura a due piani

Chiese e abbazie. Nella bassa valle del Chienti troviamo quattro abbazie e diversi edifici religiosi, a ricordare l’esistenza di una fitta rete di tutela territoriale. Le abbazie erano entità autosufficienti che seguivano la norma benedettina dell’Ora et labora; oltre a essere centri di preghiera e di lavoro, erano però anche presìdi culturali. La loro “funzione” nella società medievale è chiarita dalle parole di Maria N. Croci (1998). «Esse [le abbazie] assorbono la carica di attese e di speranze di redenzione da parte di un’umanità fuori dall’isola conventuale che affidava la salvezza della propria anima alle preghiere dei monaci e, come segno concreto della propria devozione, donava all’abbazie vasti possedimenti e castelli, oppure “sacrificava” il figlio cadetto che entrava in convento.

A sinistra, navata centrale e matroneo di destra (al piano superiore, ph C. Perugini); a destra, il corridoio del matroneo di sinistra

Il grande, enorme peso e prestigio delle abbazie, oltre a essere economico e politico, era anche ideologico: nei secoli centrali del Medioevo si afferma la convinzione che il cristianesimo autentico coincide con la vita monastica, idea fondata sul binomio vita monastica-santità: chi entra in contatto con il convento ha l’occasione di accedere alla salvezza perché esso è il luogo in cui si prefigura il destino ultraterreno di un’umanità altrimenti senza prospettiva».
Saranno San Francesco e gli Ordini Mendicanti ad “abbattere il muro” di separazione tra monaci e società civile: in seguito, la maggior parte delle abbazie diventeranno chiese parrocchiali; altre saranno abbandonate.

Il Crocifisso ligneo nel locale inferiore. A destra, l’intensa espressione del Cristo sofferente

L’architettura delle costruzioni. Gli edifici religiosi che punteggiano la bassa valle del Chienti sono in stile romanico, un linguaggio artistico che si diffuse in Europa a partire dall’anno Mille. Nella zona, esso giunse per opera dei monaci ma subì influenze orientali (bizantine), adattandosi ai materiali locali (laterizio).
L’Ars romanica si sviluppò nei secc. XI e XII; fu poi “sostituita” dall’arte gotica. Il termine “romanico”, in realtà, fu introdotto solo nel 1824 dall’archeologo francese Arcisse de Caumont che voleva richiamare la matrice romana (per es., nella vòlta a crociera) che caratterizzava le opere d’arte realizzate nei secc. XI e XII. È uno stile policentrico: nacque in Francia (ma alcuni studiosi lo fanno iniziare da opere lombarde) intorno alla metà del sec. XI e si diffuse in tutta Europa, mantenendo però linee comuni, pur se utilizzato in contesti diversi.

La luce è filtrata da lastre di alabastro

Le caratteristiche delle chiese romaniche sono legate alla semplicità costruttiva, mutuata dal model­lo della basilica romana; la presenza di un’abside (rivolta a est, per la chiara simbologia del sole nascente), in alcuni casi con absidiole e deambulatorio, e di una cripta; la luce proviene direttamente dalle finestre strombate. Elemento peculiare dell’architettura romanica è il notevole spessore delle murature portanti, di solito realizzate in pietra di taglio, successivamente decorata e affrescata (nelle abbazie cluentine è stato usato il laterizio). Pilastri e contrafforti si opponevano alla spinta possente delle volte a crociera e le colonne erano spesso arricchite con capitelli scolpiti con forme vegetali e fantastiche.

Locale absidato al piano superiore. Negli affreschi (1447), un Cristo Giudice in trono nella mandorla mistica, contornato da angeli. Alla sua destra, la Madonna della Misericordia

In alcuni casi, la chiesa è “a due piani”, quasi un raddoppiamento dell’area sacra: la parte inferiore – la chiesa vera e propria – era destinata alla celebrazione liturgica per il “popolo di Dio” (i fedeli); la parte superiore (il presbiterio sopraelevato) era riservata all’Opus Dei, l’ufficio divino dei monaci, scandito dalle ore canoniche.

Le abbazie romaniche della Val di Chienti. Il percorso che “unisce” le abbazie della Val di Chienti è un itinerario che coinvolge straordinarie testimonianze della spiritualità me­dievale, sorte nella valle tra il sec. IX e il XII, con una insolita varietà di modelli architettonici in un ridotto spazio territoriale. In questo articolo tratteremo brevemente della prima, le altre saranno analizzate in un successivo pezzo.

Madonna col Bambino e angeli musicanti, attribuito al Maestro di Offida (un anonimo pittore di formazione marchigiano-riminese che ha lasciato le sue opere migliori nella Prepositura farfense di Santa Maria della Rocca di Offida, seconda metà del sec. XIII)

Santa Maria a pie’ di Chienti. L’abbazia fu fondata a Montecosaro nel sec. X. È uno degli edifici sacri più interessanti delle Marche, con una pianta basilicale a tre navate, strutturata su due piani; al suo interno, sono conservati interessanti affreschi e un crocifisso ligneo del XV sec. È una delle pochissime abbazie italiane che conserva una forte influenza cluniacense nell’abside radiale, contornata da quattro absidiole e un deambulatorio: era una caratte­ristica del­le “chiese pellegrine” e permetteva il transito dei fedeli di passaggio che potevano sostare nelle cappelle senza disturbare le funzioni sacre.

I primi documenti relativi all’esistenza della chiesa e alla sua appartenenza all’orbita farfense risalgono al 936; due epigrafi nella controfacciata fanno pensare, però, che l’edificio sacro sia stato costruito nel 1125, per volere dell’abate Aginolfo. Nei documenti farfensi la basilica viene denominata Sancta Maria in Insula, per evidenziare le caratteristiche del territorio circostante, acquitrinoso e soggetto alle esondazioni del vicino fiume.

Uno dei borghi d’altura della Valchienti: Corridonia, erede della romana Pausula

L’abbazia appartenne a Farfa fino al 1477, quando Sisto IV assegnò la chiesa e i suoi beni all’ospedale di S. Maria della Pietà di Camerino; la denominazione Santa Maria de pede Clentis, nonostante la distanza notevole (circa 10 km) dalla foce del fiume, identificava l’edificio sacro dalla lontana Camerino; nello Statuto comunale di Montecosaro (dal 1597 e fino all’inizio del sec. XIX) diventò Santa Maria a piè di Chienti. Nel 1788, in un contratto di affitto concesso dal­l‘Ospedale di Camerino ai fratelli Perugini, veniva menzionata come «chiesa rurale della SS. Annunziata», no­me che la accompagnerà fino ai giorni nostri.

Della facciata originale, restaurata tra i secc. XVII-XVIII, non rimane traccia; nella parete destra, all’esterno, è inserita una meridiana (risalente al sec. XII) che permette di calcolare l’ora solare alla maniera romana, cioè con la divisione in ore terza, sesta e nona (T-tertia, S-sexta, N-nona), corrispondenti alle 9 del mattino, alle 12 e alle 15.

 


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