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Pazienti Covid ma non solo:
il ruolo centrale dei medici di famiglia
nella gestione della pandemia

IL PUNTO con il dottor Italo Polini. Dai casi da seguire a domicilio ai nuovi farmaci da somministrare a casa, passando per le vaccinazioni: ecco come sta cambiando la medicina territoriale: «Ma devono darci le armi per combattere bene. E' necessario chiare ruoli e compiti». Sulle aree interne: «Hanno bisogno di maggiore attenzione, guardie mediche, telemedicina, una rete che copra i territori senza centralizzare troppo, mantenendo la prossimità del servizio»
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Il dottor Italo Paolini

 

di Maria Nerina Galiè

 

Pazienti Covid da seguire e rassicurare, vaccini da somministrare e cittadini che hanno bisogno di assistenza per altre patologie: il 2021 si è chiuso lasciandosi alle spalle un grande impegno, per i medici di medicina generale, pronti ad affrontare mesi che non saranno da meno. Ma non se ne lamentano, forti del giuramento fatto e consapevoli di quanto, la medicina territoriale stia giocando un ruolo fondamentale nella gestione dell’emergenza.
Italo Paolini, medico di Arquata e con studio anche a Venarotta, uno dei veterani del Piceno, non nasconde la grande stanchezza. L’ultimo dell’anno, se l’è passata tra ore di ambulatorio, pazienti da visitare a casa e pure qualche vaccino anti Covid da dispensare a casa, a persone in assistenza domiciliare.

Cosa si aspetta, nei prossimo mesi, sul fronte della pandemia, dottor Paolini?
«Siamo entrati nella fase endemica. Con tali numeri di nuovi contagiati al giorno, l’idea di riuscire a tracciarli tutti, con i relativi contatti stretti, è irrealistica.
La variante Omicron sta diventando preponderante. La prenderanno tutti perché è ancora più contagiosa della variante delta e anche la modalità di diffusione è diversa: non è più solo tramite le goccioline emesse nel parlare o con i colpi di tosse, ma avviene tramite aerosol in maniera molto più subdola.
Gli effetti saranno tuttavia molto diversi tra i vaccinati e chi non lo è. La differenza si sta già avvertendo nella nostra esperienza assistenziale.
In pratica – continua il medico – andremo incontro a due tipi di “malati”, i non vaccinati che, per la potenziale  gravità dell’infezione con interessamento polmonare, potrebbero avere bisogno di cure ospedaliere ed intensive, ed i vaccinati, la maggior parte della popolazione. Per loro si tratterà di avere poco più di un raffreddore.
Poi ci sono i fragili, le persone con patologie pregresse e gli anziani che, pur protetti dal vaccino, corrono un rischio più alto e devono essere aiutati anche dal comportamento responsabile di chi gode di buona salute. Quindi, attenzione alle norme anti-contagio e vaccinarsi, oltre che per se stessi, anche per proteggere le categorie a rischio».
Sono sempre di più i pazienti che hanno il Covid ma che si riescono a gestire a domicilio, anche per via delle cure tra cui gli anticorpi monoclonali, che si fanno in ospedale, ma solo per il tempo dell’infusione e della sorveglianza, ed ora con i nuovi farmaci, dal 4 gennaio.

Il dottor Paolini mentre si vaccina

Qual è la prassi per la gestione dei pazienti Covid, a casa, dottore?
«Noi medici di famiglia dobbiamo per prima cosa segnalare il caso al Sisp, per attivare il percorso tracciamenti, quando possibile. Insieme alle Usca identifichiamo i soggetti per i quali sono somministrabili gli anticorpi monoclonali ed attiviamo il relativo percorso. Abbiamo anche il compito di tranquillizzare i pazienti, farli sentire al sicuro, monitorare l’andamento dell’infezione per capire quando serve ricorrere a cure ospedaliere o, se possibile, mantenerli a domicilio fino alla guarigione. E sono la stragrande maggioranza del pazienti positivi.

Rispetto ad altre province delle Marche e ad altre regioni italiane, ho avuto modo di verificare che da noi c’è una proficua e costante collaborazione tra il Distretto Sanitario, diretto dalla dottoressa Giovanna Picciotti, il dottor Vittorio D’Emilio che pure sta facendo un grande lavoro ed è il nostro punto di riferimento per le terapie monoclonali e per i ricoveri, e le Usca coordinate dai medici più esperti (tra cui lo stesso dottor Paolni, ndr) e che effettuano visite a domicilio anche con valutazioni strumentali, tamponi di controllo, valutazioni laboratoristiche ed emogasanalitiche.
Il sistema si sta rivelando estremamente efficace».
Chi e come stabilisce se il paziente è da ricoverare?
«Da questa rete, fatta di consulti e costanti scambi di informazioni, emerge un quadro completo della situazione, paziente per paziente. E’ importante ricoverare, se c’è bisogno, al momento giusto. Troppo presto si intaserebbero gli ospedali. Troppo tardi, il pazienti rischia la polmonite grave e di finire in Rianimazione.
Dobbiamo essere attenti a capire il momento giusto, dall’emogas ed altri sintomi. Nella maggior parte dei casi, azzeccando i tempi, tutto si risolve con un breve ricovero, con un aiuto paziente nell’ossigenazione».

Il dottor Andrea Ciucci e un’infermiera vaccinano un ospite della Rsa di Paggese

Ma non c’è solo il Covid a minacciare la salute dei cittadini. Ed i medici di medicina generale lo sanno bene. Dottor Paolini, ha riscontrato problemi per arrivare a diagnosi o nella cura stessa?
«Per alcuni esami le liste di attesa si sono allungate. Ma spesso gioca a sfavore la reticenza del paziente ad andare al Pronto Soccorso o a farsi ricoverare, soprattutto tra gli gli anziani. Ed è più per la paura di restare da soli in ospedale che di contagiarsi. Un caso recente, sempre di una persona avanti con l’età, con un grande impegno respiratorio: avrei voluto una valutazione ospedaliera, ma mi ha pregato di farlo restare a casa. Da parte nostra si crea anche un disagio psicologico, nella scelta di forzare la sua volontà, sapendo a cosa si potrebbe andare incontro, o correre il “rischio”, accontentandolo».
C’è qualcosa che vorrebbe dire ai no vax?
«Intanto, mi sembra un controsenso che abbiamo paura di iniettarsi un farmaco che ritengono potenzialmente dannoso, ma poi, se incorrono in una polmonite, non possono tirarsi indietro di fronte a potenti cocktail di medicine. Recentemente uno dei miei pazienti, ad esempio, era no vax – dico era perché probabilmente deciderà di vaccinarsi dopo gli effetti dell’immunizzazione ottenuta per aver contratto il virus – si è ammalato e, nei tempi giusti, si è sottoposto monoclonali».
L’assessore regionale Filippo Saltamartini ha affermato che doterà i medici di medicina generale di macchinari per l’esame dei tamponi molecolari. Un’aiuto o un ulteriore carico di lavoro, dottor Paolini?

«Entrambe le cose. Si punta sulla medicina territoriale, ma devono darci le armi per combattere bene. Strutture adeguate, infermieri e amministrativi, per svolgere bene il lavoro, che va dalla gestione delle situazioni acute, croniche e delle paure, fino all’espletamento della burocrazia che ci attanaglia. Non possiamo essere più considerati un elastico, da allungare in base a come serve. E’ necessario chiare ruoli e compiti del medico di medicina generale e relative dotazioni strumentali e di personale».

Il dottor Italo Paolini opera nelle aree interne che, nell’ottica di una riorganizzazione della medicina territoriale, «non possono – sottolinea – essere considerate alla stregua dei centri maggiori e che sono più vicini agli ospedali provinciali e nei quali possono essere organizzati gli ambulatori di comunità senza penalizzare la popolazione.
I cittadini delle zone montane hanno bisogno di maggiore attenzione, partendo dalle guardie mediche, continuando con lo sviluppo della telemedicina che deve far viaggiare le informazioni al posto delle persone, finché possibile, per finire con l’allestimento di una rete di servizi che copra i territori senza centralizzare troppo e mantenendo la prossimità del medico di medicina generale. Questo sia per come è conformato il territorio, fatto di strade scomode, sia perché ci sono molti anziani, sia perché non si può contrastare lo spopolamento delle montagne senza mantenere, o addirittura potenziare, i servizi essenziali come la Sanità».



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