Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto. Oltre alla rivalità sportiva, talvolta becera, c’è di più. Ci sono realtà figlie di passati gloriosi, che ai due centri hanno conferito prestigio. Ci sono state persone, popoli, storie e culture diverse, di pari dignità, separate solo da una manciata di chilometri, da conoscere, raccontare e tramandare. Accomunate, tutte, da un “eroismo” straordinario, che nessun astio, fazioso e municipalistico, può e deve cancellare. Di cui andare, tutti insieme, indistintamente, orgogliosi. L’amore cieco e sordo per il proprio campanile, il fanatismo che, in ogni campo, tutto avvelena, rischiano di farci ignorare, sia sotto il Torrione che in Piazza del Popolo, il meglio che, su entrambe le sponde, nei più diversi campi, con valore, sacrificio e abnegazione, durante lo scorrere degli ultimi secoli le nostre genti sono riuscite a costruire. A puntate, su Cronache Picene, racconteremo senza presunzione la Storia dei due centri. Sportiva e non. Scritta dai grandi personaggi del passato, soprattutto quelli meno celebri, da tramandare ai più giovani, e ai posteri, spesso ignari. Attraverso le glorie e le infamie, i fasti e le tragedie. Le pagine più esaltanti e i giorni più neri. Senza partigianerie e autoincensamenti di sorta. Senza sconti, che la Storia non può concedere a nessuno. Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto. Non più cugine invidiose e malevoli. Ma sorelle unite. E regine, entrambe, del Piceno e delle Marche. Non solo sui campi di calcio.
PUNTATA n. 27
Domenica 7 giugno 1981 tutta San Benedetto è in festa. E’ l’ultima giornata di campionato. Al “Ballarin” arriva il Matera, già con un piede in C2, mentre la Sambenedettese festeggia, con la promozione, il pronto ritorno in serie B,
dopo un solo anno di permanenza in C. E’ la classica domenica di inizio estate in riviera, ma al “Ballarin” è scontato, ovviamente, il tutto esaurito. In gradinata sud, tradizionalmente occupata dai supporters rossoblù più caldi, si è preparata da giorni una coreografia all’altezza della giornata.
Le fiamme invadono la gradinata e si cerca scampo scavalcando la recinzione
Lo spettacolo è previsto per il momento dell’ingresso in campo delle due squadre. In un clima di grande euforia mister Nedo Sonetti manda in campo Zenga, Rossinelli, Cavazzini, Schiavi, Bogoni, Cagni, Caccia, Speggiorin, Perrotta, Ranieri, Colasanto. A disposizione il mister porta in panchina Pigino, Ceccarelli, Romiti, Tedoldi e Sanzone. Quintali di quadratini di carta colorati, forse sette accerteranno poi le indagini, sono stati portati con largo anticipo sulle gradinate per essere lanciati in aria. Fa caldissimo.
I momenti terribili seguiti al rogo nello stadio “Ballarin”
Forse un mozzicone di sigaretta, o, più probabilmente, uno dei tanti fumogeni colorati rossi e blu accesi in quel momento, innescano l’incendio dei sacchi pieni di cartoncini in mezzo ai tifosi. Sono circa tremilacinquecento, accalcati su quella gradinata piena come un uovo quel giorno. Una trappola mortale. Le due squadre sono già sul terreno di gioco, e stanno posando per le foto di rito dopo che l’arbitro ha sorteggiato il campo con i due capitani. In una di queste foto scattate in quell’attimo drammatico si vede Walter Zenga, allora portiere della Samb, girato a guardare verso la gradinata sud, dove è scoppiato l’inferno. Alimentate dalla gran quantità di buon combustile, la carta, le fiamme, infatti, sono già alte. Nessuno è riuscito a soffocarle in tempo. Ora è un fuggi fuggi generale, nel panico collettivo. Si cerca la salvezza in tutte le direzioni possibili per allontanarsi in fretta dal fuoco. Verso la tribuna ovest, verso i distinti est, verso il campo di gioco, scavalcando la recinzione, per chi ce la fa, come i più giovani, perchè le chiavi per aprire i cancelli di quel settore, in quei convulsi minuti, non si trovano.
La gradinata sud del “Ballarin” quel giorno poco prima della tragedia
Fortunatamente i parapetti laterali e superiore della gradinata sud resistono alla spinta enorme della ressa. Se avessero ceduto, il bilancio delle vittime sarebbe potuto essere ancora più alto. Molti i tifosi che vengono raggiunti e avvolti dalle fiamme, quelli che cadono nella calca vengono calpestati dagli altri in fuga. E’ il caos. Il dramma si consuma in pochi attimi. Il terrore piomba in tutto lo stadio, anche negli altri settori, da dove si assiste in diretta, impotenti e sgomenti, alla tragedia che interrompe la grande festa per la promozione in serie B. Scatta l’allarme generale.
Sul terreno di gioco entrano i tanti automezzi di soccorso che accorrono allo stadio dopo pochi minuti. Due gli elicotteri dell’Areonautica Militare, volati subito da Ciampino e da Rimini per posarsi sull’erba del “Ballarin”, che vengono impiegati per trasferire, con la massima urgenza, gli ustionati più gravi verso l’ospedale “Sant’Eugenio” di Roma e i centri grandi ustionati di Cesena, Parma, Padova e Verona. La spola delle autoambulanze a sirene spiegate fra lo stadio e il locale ospedale civile “Madonna del Soccorso” continua per tutto il pomeriggio, con il personale che si prodiga per fronteggiare la grave e imprevedibile emergenza. Il sanitari che stanno fruendo del giorno di riposo festivo vengono subito richiamati in servizio. Solo il giorno dopo si può definire con esattezza il bilancio della tragedia.
Zenga (secondo in piedi da sinistra) girato verso la gradinata sud dove divampano le fiamme
Le vittime saranno due. Due giovani donne, poco più che ragazzine. Si chiamano Maria Teresa Napoleoni e Carla Bisirri. Hanno, rispettivamente, 23 e 21 anni. Si rivelerà purtroppo vano per loro anche il trasporto d’urgenza in elicottero nell’ospedale della capitale. Sono oltre sessanta i tifosi più raggiunti dalle fiamme, di cui undici molto gravi che, comunque, sopravviveranno. Di contusi e feriti se ne conteranno più di centocinquanta. Quasi tutti giovanissimi, molti i bambini. Tutti loro conserveranno per sempre le cicatrici sul corpo, e, invisibili, ma molto più strazianti, nell’anima, di quel pomeriggio di terrore.
Nei giorni seguenti i giocatori della Samb, il sindaco Speca, il presidente Zoboletti, e il suo vice Ciabattoni, fra gli altri, visiteranno i ricoverati in ospedale. Molte saranno le iniziative organizzate per raccogliere fondi a loro favore. Il rogo del “Ballarin” rimane la più grave tragedia consumatasi all’interno di uno stadio italiano. E sarebbe potuta anche andare molto, molto peggio. Come all’Heysel di Bruxelles quattro anni dopo, anche al “Ballarin” quella domenica, nonostante i morti dentro lo stadio, la partita si gioca lo stesso.
Samb-Matera, per la cronaca, finisce 0-0. Un pareggio che promuove la Samb, insieme alla Cavese, condanna alla retrocessione gli ospiti, e alla maledizione definitiva il vecchio e glorioso “Ballarin”, dove la morte torna ad aleggiare sedici anni dopo quella di Roberto Strulli. Riprende quel giorno forza, definitivamente, il progetto di dotare al più presto la città di un nuovo, più moderno e sicuro, stadio. La terza, e ultima fino ad oggi, promozione in serie B della Sambenedettese, coincide con la giornata più tragica della sua storia.
La Samb 1980-81
Il muro esterno del Ballarin” oggi, con l’indelebile ricordo di Maria Teresa Napoleoni e Carla Bisirri
(continua)
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