Castorano, antico borgo collinare della vallata del Tronto

SITUATO in posizione panoramica nel bel mezzo della Vallata del Tronto, è un classico borgo d’altura che domina il paesaggio delle fertili colline truentine. Il compatto centro storico, con la splendida torre merlata a base pentagonale, conserva i resti delle antiche fortificazioni (la porta e le mura castellane)
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Una veduta di Castorano

 

di Gabriele Vecchioni

 

Le origini di Castorano si perdono nelle nebbie del tempo; la tradizione vuole che siano picene, coeve a quelle del capoluogo e quindi, probabilmente, antecedenti a quelle di Roma. Sottomesso dai Romani (297-296 AC), diventò una delle stationes della via Salaria che arrivava nei pressi dell’attuale Porto d’Ascoli, com’è attestato dal recente ritrovamento di un cippo miliario (sec. I AC).

 

Il nome, derivato da un termine prediale (come testimonia la desinenza -anus che veniva attribuita a terreni e fondi rustici); nella bassa latinità, cioè tra l’età tardo-antica e l’alto Medioevo, era Castrum Casturani.

Castorano raffigurata in un’antica cartolina

 

Sulla presenza di un nucleo antico abitato non ci sono dubbi per via del ritrovamento, nel corso di diversi scavi archeologici, di tombe corredate e di reperti di epoca romana. Più tardi, Castorano passò sotto il controllo dei Longobardi del Ducato spoletino e nel 1283, Raynaldus de Montis Sancti Paoli la cedette al libero comune di Ascoli. Da allora, il centro rimase legato alla città picena (era un suo castello di secondo grado, con il compito di controllare la vallata truentina) e «Per tutto il ‘400 ed il ‘500 rimane coinvolto nella secolare guerra contro Fermo e i suoi alleati di Offida ed Acquaviva».

 

L’aspetto attuale è legato al periodo dell’incastellamento che, nel Medioevo italiano (ma anche europeo, secc. X-XII) vide la nascita di castelli, intesi come residenze feudali; nel nostro caso, di borghi di altura fortificati. I motivi erano diversi: difensivi (dopo il collasso dell’Impero romano, non c’erano più l’ “ordine” e la sicurezza precedenti), politici (accentramento del potere) e sanitari. In quest’ultimo caso, la costruzione dei borghi d’altura serviva ad evitare i malsani ambienti di fondovalle, spesso impaludati per la tracimazione dei corsi d’acqua. Questa situazione si comprende bene ammirando l’ampio, bel panorama sulle colline picene che si può godere da Piazzetta Belvedere.

 

Per quanto riguarda i beni architettonici del paese, le emergenze monumentali più importanti sono legate proprio al periodo citato in precedenza. La porta d’ingresso del borgo (la cosiddetta Porta castellana) è del sec. XV e la porta del castello è ancora più antica (sec. XIII). La torre medievale con base poligonale (pentagono irregolare) ha merli di fattura ghibellina, a coda di rondine. La torre è annessa all’antica (sec. XI) chiesa parrocchiale di Santa Maria della Visitazione, restaurata nel sec. XVI. Era, in origine, il mastio del castello e controllava, oltre al paese, anche la campagna e le colline circostanti. La particolarità sta nel fatto che la torre (almeno la sua parte sommitale) funziona anche come campanile e torre dell’orologio.

Porta Castellana

 

Una breve digressione per ricordare che i merli erano ripari in muratura per gli arcieri, innalzati alla sommità degli edifici difensivi come prolungamento verticale del parapetto. I merli derivano da antiche strutture difensive dei castra romani; tradizionalmente, nel periodo medievale, i merli ghibellini indicavano l’appoggio politico al partito dei sostenitori dell’imperatore; quelli guelfi, di fattura più antica e a terminazione squadrata, indicavano l’appoggio alla funzione politica del papato. Nel caso della torre di Castorano, i merli sono posticci (successivi alla realizzazione del manufatto ed hanno mera funzione decorativa.

 

Il Palazzo del Governo, oggi della Pievania, in origine era una costruzione risalente al sec. X; situata davanti alla chiesa, la costruzione è stata per anni la casa del parroco (allora denominato “pievano”); il restauro ha stravolto l’assetto interno dei locali, nei quali era anche la stanza adibita a carcere per i reati minori (ne è rimasta la pesante porta originaria).

 

Nella frazione di Pescolla (un toponimo che, anche nell’Ascolano, identifica un luogo dove l’acqua “ricresce”) si trova la chiesa, restaurata di recente, di San Giovanni Battista (sec. XVI), opera dei Maestri lombardi e con, all’interno, una tela di Ludovico Trasi, artista del Seicento, piuttosto attivo nell’Ascolano. Sulla torre campanaria fa bella mostra una meridiana solare. È possibile raggiungere l’area dall’incasato di Castorano con una breve, rilassante passeggiata lungo la strada provinciale che conduce alla vicina Offida, facendo attenzione al traffico veicolare. Durante il percorso, in ambiente rurale, si scoprono bei panorami, aperti verso settentrione, sulle colline della zona, costellate di casolari e vigneti: siamo in una zona collinare a forte vocazione vinicola, basti pensare che il territorio relativamente poco esteso, ospita ben quattro Doc). Una veduta particolarmente interessante se vista alla luce morbida del tramonto.

La Torre Medievale

 

In un’altra frazione (Rocchetta), la piccola chiesa della Madonna della Rocchetta ha un campanile a vela con la campana originale sulla quale è incisa la data di fusione (1555) scritta in maniera inconsueta (MCCCCCXXXXXIIIII invece del più corretto MDLV)).

 

Infine, lungo la via Salaria si sviluppa la moderna, popolosa frazione di San Silvestro, con servizi e attività commerciali.

 

A Castorano c’è una costante riappropriazione del proprio passato, con manifestazioni ed eventi, tra i quali spicca la partecipazione alla rievocazione storica della Quintana, insieme con altri “castelli di Ascoli”.

 

Recentemente, seguendo le disposizioni riprodotte nel Libro degli Statuti, Ordini et Reformanze (1612), sono stati “ricostruiti”, con una manifestazione pubblica, due eventi antichi (del Seicento e del Settecento) importanti per la vita della comunità. L’Offerta dei Ceri, quando (il «doi di luglio») la Comunità castoranese onora la sua protettrice, la Madonna della Visitazione. Negli stessi Statuti erano presenti norme “di controllo” sull’operato degli amministratori pubblici del Podestà. La cosa pubblica era amministrata dai Massari, scelti tra i «boni homini» della Comunità del Gran Conseglio.

 

Per tornare al presente, il 14 agosto, a Castorano, si tiene una seguitissima sagra gastronomica (con sfilata di carri allegorici), la popolare V’vtella, un appuntamento ormai consolidato nel panorama degli eventi estivi della vallata del Tronto.

 

Conclusioni. Come per l’articolo precedente, relativo a un centro della media valle del Tronto, abbiamo volutamente ridotto la parte riguardante la storia e i personaggi che pure hanno dato lustro al centro, per concentrarci sugli aspetti naturalistici e paesaggistici. Nel caso di Castorano, il focus è sul paesaggio collinare che si gode dal borgo. Cronache picene ha già dedicato diversi articoli all’argomento: un paesaggio agrario armo­nioso, con le colline model­late dalle geometrie campestri, disegnate dal la­voro secolare dell’uomo, iniziato alla fi­ne dell’alto Me­dioevo e proseguito nel tempo. Ricordiamo che «Qualche anno fa (2003), Tullio Pericoli, noto artista contemporaneo legato al nostro territorio, nel corso di un’intervista dichiarò che «Quando l’uomo interviene sulle colline da agricoltore non fa danni, se interviene da co­struttore l’effetto à terribile».

Un momento della “V’vtella”

 

L’aspetto attuale si è plasmato sulla maglia poderale della mezzadria e della poli­coltura: un paesaggio rurale caratterizzato da un susseguirsi di campi e vigneti, intervallati da piccole fasce boschive, localizzate soprattutto negli impluvi collinari. Vicino alle case, orti e oli­veti, piantumati a filari, in un equilibrato pa­tchwork territoriale (Bruno Egidi scrisse, nel 1994, che «il paesaggio, dall’alternarsi ritmico degli appezzamenti, conserva una notevole armonia»). Per concludere, l’area è forse poco interessante dal punto di vista naturalistico (anche se la presenza di un’interessante avifauna e la presenza di rapaci potrebbe far pensare il contrario) ma è espressivo e rile­van­te dal punto di vista storico (ed estetico).

 

In chiusura del pezzo, riportiamo un brano di un articolo di qualche tempo fa che ben riassume quanto espresso finora: Gli splendidi valori paesaggistici delle nostre colline sono stati poe­ticamente interpretati da Cesare Chiodi che, nel 1953, nella Prefazione a una pubblicazione del Touring Club rela­tiva alle Marche, scrisse «Ma che incanto di mare e di terra e di cielo, che ricchezza e va­rietà di campi e di prati e di selve, che larga maestà di colli dolci e on­dulati…». I rilievi collinari della nostra regione furono raccontati anche da Guido Piovene nel suo Viag­gio in Italia (1957) in una sintesi descrittiva [evocativa e più volte citata per la sua significatività, NdA] che è valida ancor oggi. Il giornali­sta e scrit­tore vicentino scrisse che «la collina marchigiana […] È dolce, se­rena, patetica, lucida, priva di punte… I colli sono tondeggianti, con pendici prative lunghe, lente, dis­seminate a intervalli di grandi alberi; quasi preparate a ri­ce­vere le mandrie bianche e i ple­niluni».

 

 



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