Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto. Oltre alla rivalità sportiva, talvolta becera, c’è di più. Ci sono realtà figlie di passati gloriosi, che ai due centri hanno conferito prestigio. Ci sono state persone, popoli, storie e culture diverse, di pari dignità, separate solo da una manciata di chilometri, da conoscere, raccontare e tramandare. Accomunate, tutte, da un “eroismo” straordinario, che nessun astio, fazioso e municipalistico, può e deve cancellare. Di cui andare, tutti insieme, indistintamente, orgogliosi. L’amore cieco e sordo per il proprio campanile, il fanatismo che, in ogni campo, tutto avvelena, rischiano di farci ignorare, sia sotto il Torrione che in Piazza del Popolo, il meglio che, su entrambe le sponde, nei più diversi campi, con valore, sacrificio e abnegazione, durante lo scorrere degli ultimi secoli le nostre genti sono riuscite a costruire. A puntate, su Cronache Picene, racconteremo senza presunzione la Storia dei due centri. Sportiva e non. Scritta dai grandi personaggi del passato, soprattutto quelli meno celebri, da tramandare ai più giovani, e ai posteri, spesso ignari. Attraverso le glorie e le infamie, i fasti e le tragedie. Le pagine più esaltanti e i giorni più neri. Senza partigianerie e autoincensamenti di sorta. Senza sconti, che la Storia non può concedere a nessuno. Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto. Non più cugine invidiose e malevoli. Ma sorelle unite. E regine, entrambe, del Piceno e delle Marche. Non solo sui campi di calcio.
La Curva Sud del “Del Duca” (che ora non c’è più) intitolata a Costantino Rozzi
PUNTATA n. 30 (ultima)
Il 1986 è dunque l’anno della definitiva separazione fra le due prime squadre del Piceno, anche se, a dirla tutta, in realtà l’ultimo derby ufficiale disputato sarà quello valido per le qualificazioni alla Coppa Italia, che si gioca al “Del Duca” il 3 settembre 1986. Con la qualificazione già compromessa per entrambe le squadre, l’attesa è stanca. Le polemiche per l’ultimo derby, su quello stesso campo, di tre mesi prima, sopite. L’Ascoli è alle prese con i casi Scarafoni e Dirceu. Il ventunenne ascolano, un promettente prodotto del settore giovanile nicchia sul rinnovo del contratto. Il brasiliano invece, che ha lasciato l’Ascoli l’anno prima, batte cassa per lo sfruttamento della sua immagine con la maglia bianconera.
La “Curva Nord” del Riviera delle Palme intitolata a Massimo Cioffi
Il mister, Aldo Sensibile, rimasto da solo a colmare la partenza di Vujadin Boskov, verrà presto sostituito da Ilario Castagner. Roberto Clagluna, ritornato dopo due anni alla guida della Samb, è invece ancora alla ricerca dell’assetto migliore in vista dell’inizio del campionato di serie B, nel quale la Samb militerà per altri tre anni, fino al termine della stagione 88/89. Pusceddu, Perrone, Brady, Vincenzi, Bonomi, Iachini, Marchetti sono i bianconeri più rappresentativi. Petrangeli, Nobile, Ferrari, Turrini, Di Fabio, Bronzini, Di Nicola e Ginelli fra i rossoblù. Vince l’Ascoli uno a zero, ma non serve a niente, e oggi non se lo ricorda più nessuno. Nemmeno quelli che erano fra i pochi spettatori quella sera.
La Sud bianconera
Al termine c’è qualche tafferuglio fuori dallo stadio. Tanto per tenere viva la tradizione. Due lacrimogeni e qualche manganellata dei poliziotti disperdono i più esagitati. I tempi sono cambiati, in peggio ovviamente, anche negli stadi. Ora il tifo è sempre meno espressione genuina e popolare di una comunità, e sempre più inquadrato, organizzato, militarizzato, talvolta politicizzato. Con sigle che, su ogni piazza, spesso riecheggiano termini bellici, o terroristici. In trasferta ormai si va, in effetti, come ad una guerra, fra scorte armate ai pullman incolonnati, settori riservati ai sostenitori ospiti blindati, e reparti di polizia in tenuta anti-sommossa schierati. Un ricordo, quando si poteva girare tranquilli, da soli, in cerca di una trattoria nelle città dove si seguiva la propria squadra in trasferta. Gli ascolani facevano assaggiare a tutti le loro olive ripiene di carne e fritte, fatte in casa, li pallett’, le celebri olive all’ascolana, mentre i sambenedettesi parlavano del loro piatto tipico “lu vrudètte” lo squisito brodetto di pesce alla sambenedettese. Bei tempi andati, ormai lontanissimi.
In questo clima di imbarbarimento, ormai generalizzato e connaturato al nuovo sistema, sociale e calcistico, poco più di due anni dopo, la morte aleggerà anche sullo stadio “Del Duca”. Domenica 9 ottobre 1988. Un giovane tifoso ascolano, Nazzareno “Reno” Filippini, trent’anni appena, rimane ucciso nei furiosi scontri fra gli ultras dell’Ascoli e quelli dell’Inter verificatisi dopo la partita sotto la curva sud, all’inizio del ponte e del viale che oggi portano il nome di Costantino Rozzi. Nella cieca violenza di cui è permeato il pianeta ultras, anche quel giorno c’è un treno speciale di mezzo. Come quello del 1972, per Parma-Ascoli, di cui abbiamo già narrato. Solo che, stavolta, va molto peggio. E’, probabilmente, l’ultimo treno speciale per tifosi di calcio, organizzato in Italia di cui si abbia memoria, quello dei tifosi interisti, che in gran numero arrivano in Ascoli per quella partita.
Il mare di San Benedetto visto dal molo
Le autorità competenti sottovalutano il pericolo costituito dal percorso comune che le due tifoserie devono condividere, nel tratto che va dalla stazione allo stadio, e viceversa. Solo poche centinaia di metri. Ma ad altissimo rischio. Le forze dell’ordine non riusciranno infatti ad evitare, su quel ponte, l’inevitabile scontro fra le opposte fazioni di ultras. L’Ascoli aveva perso 1-3 quella partita contro l’Inter, secondo pronostico. Nazzareno Filippini perde invece la vita, dopo una settimana di agonia all’ospedale di Ancona, secondo quale logica? Una giovane vita si spegne, come troppe altre nelle medesime circostanze, solo perchè l’amore per i colori della propria squadra, il valore di una fede, l’orgoglio di un blasone, vanno ora, malamente, intesi, e indegnamente commisurati, al livello delle intemperanze, anche le più violente, raggiunto dai propri sostenitori.
Le torri di Ascoli
Tornando a quell’ultimo derby, a proposito di intemperanze, voci incontrollate riferiranno di lanci, da parte dei tifosi ascolani, di arance farcite con lamette da barba, e di biglie di vetro scagliate con le fionde, verso i supporters rossoblù. Impossibile dire dove, in questo caso, finisca la verità e cominci la leggenda metropolitana, certo è che, per fortuna, non ci sarà riscontro ufficiale negli ospedali di ferimenti di tale gravità riportati all’interno dello stadio quella sera. Ed è altrettanto sicuro che certe voci non contribuiscono a rasserenare il clima, da sempre teso, fra le due tifoserie, ma, servono solo, invece, a gettare altra benzina sul fuoco. E non ce n’è bisogno di certo.
Domenico Roncarolo
Perchè le bravate, su entrambi i fronti, in questi trentacinque anni senza derby, purtroppo, non sono mai mancate. Sarebbe penoso mettersene a compilare la lista. Intristiremmo, gli sportivi autentici di entrambe le sponde, nel farlo. Abbiamo, non a caso, invece, voluto solo raccontare gli anni più nobili delle storie, ormai secolari e gloriose, delle due città e dei loro cittadini migliori, dei due club, e delle rispettive tifoserie. Con le loro tante giornate, le più esaltanti, e le più drammatiche, vissute. Anche con gli eccessi e le inciviltà che, talvolta, le hanno accompagnate, rozze figlie dei tempi, e dei malcostumi, all’epoca, imperanti.
Costantino Rozzi
Ma la gente che ha scritto quelle pagine era tutta, indistintamente, orgogliosa delle proprie radici e straordinariamente operosa. Gente che ha saputo costruire nella propria vita, temprata dalle fatiche e dalle privazioni, e che ha avuto in quei colori, bianconero o rossoblù che fossero, la domenica, spesso l’unica fonte di svago, di gioia, di rivalsa. La sentita, profonda identificazione, e il senso di orgogliosa appartenenza a quelle due bandiere, sempre forte, ha cementato comunità, alimentato sfide e rivincite, alleviato sacrifici, agevolato conquiste e accompagnato faticosi progressi.
La targa che intitola la rotonda di Viale dello Sport di San Benedetto a Domenico Roncarolo
La successiva evoluzione della specie, la generale emancipazione sociale e culturale, la modernizzazione dei costumi, lo sviluppo delle conoscenze, il benessere economico, e il conseguente miglioramento delle rispettive qualità di vita, avrebbero dovuto aiutare a custodire meglio la Memoria di quei tempi e di quei due popoli, come retaggio nobile del passato, da cui trarre, tutti insieme, onore e insegnamento. Perchè le rispettive, incrollabili, fedi calcistiche, rappresentano patrimoni preziosi, antichi, comuni, e di pari dignità. Che devono essere onorati dal leale, reciproco riconoscimento. Che non devono mai, contribuire a generare nuovi asti, costituire pretesto per altre violenze, o generare moderne, inestirpabili, anacronistiche e talvolta anche ridicole, intolleranze incrociate.
La targa che intitola il piazzale dello stadio “Del Duca” a Costantino Rozzi
Le grandi tradizioni sportive di Ascoli e Sambenedettese, lo straordinario attaccamento ai colori dimostrato, da sempre, dalle rispettive tifoserie, lo impongono. Bandendo, ovunque, livoroso malanimo o malevoli invidie, oggi purtroppo, amplificate dall’uso distorto dei social. Due fedi incrollabili, quelle bianconera e rossoblù, più forti, entrambe, fino ad oggi, di lutti dolorosi, di sfortunate vicissitudini societarie, di disavventure finanziarie e di retrocessioni patite.
Quasi tutti i grandi protagonisti , su entrambe le sponde, delle rispettive, gloriose storie, di cui abbiamo raccontato le imprese nel corso della nostra umile rassegna, ci hanno lasciato. Eredità pesanti le loro. Sarebbe quasi impossibile per chiunque, oggi, riuscire ad emularne le imprese. A trasformare, come loro sono riusciti a fare, i sogni della loro gente in realtà. Dopo Domenico Roncarolo, scomparso nel 1984, se ne va, dieci anni dopo, nel dicembre del 1994, anche lui prematuramente, Costantino Rozzi. Sei mesi prima della retrocessione del suo Ascoli in serie C. Dove la lunga, esaltante avventura bianconera era iniziata, ventitrè anni prima, con lui. Grazie a lui.
La lapide in ricordo di Nazzareno “Reno” Filippini a pochi metri dallo stadio
Domenico Roncarolo e Costantino Rozzi. Eroi romantici, e primi alfieri del calcio piceno di ogni tempo. Non si troverebbero più, forse, neanche loro, oggi, in questo calcio moderno senza logica, nè, tanto meno, anima. Dove i soldi e i grovigli di interessi contano molto più del cuore. Dove lo sport, mutando in costoso show, rende la passione dei tifosi preda, vittima, dei troppi business, non sempre trasparenti, che ne stanno avvelenando lo spirito più nobile. Le speculazioni delle pay-tv fanno più ricchi i già ricchissimi, e allontanano la gente dagli stadi. Alle maglie ora è preferibile restino più attaccati gli sponsor, piuttosto che gli uomini. Le bandiere che, un tempo, scrivendo la storia dei loro club, diventavano anch’essi dei miti. Possono, i due grandi presidenti, comunque, entrambi, riposare in pace. Alla prima stagione in serie B conquistata, nel 1956, dal sambenedettese, ne sono seguite, valorosamente, in epoche diverse, altre venti. Dopo quella di esordio nella serie cadetta dell’ascolano, nel 1972, se ne sono vissute, indimenticabilmente, fra serie A e B, altre quaranta.
Carlo Mazzone, un altro mito, campione di umanità e allenatore indimenticato di tanti campioni di questo sport, dopo una vita passata sui campi di calcio, ha scritto nelle sue memorie: “Il derby Roma-Lazio? A uno che ha vissuto Samb-Ascoli al “Ballarin” nessun derby può fare più paura”. Molti dei tifosi più giovani non ne hanno mai visto uno. Però hanno imparato l’odio. Perchè l’odio si insegna. E quando lo hai imparato da bambino, poi non ti chiedi più neanche il perchè stai odiando. Così come si insegna l’odio si potrebbe, invece, insegnare il rispetto. Reciproco. Basta cominciare. Da privilegiati quali siamo, tutti quanti, a custodire, in questa provincia, la Memoria di due blasoni così gloriosi.
Perchè a sancire, indiscutibilmente, la schiacciante supremazia del calcio piceno, grazie ad Ascoli e Sambenedettese, a livello regionale, ci sono, oggi, anche due particolari classifiche, stilate dalla Federazione. In quella della tradizione sportiva italiana i bianconeri figurano al 34° posto e i rossoblù al 58°. Nella classifica nazionale perpetua del calcio italiano di serie B, invece, stilata anch’essa in base alle militanze sportive a partire dal 1929 in poi nella categoria, la provincia più meridionale delle Marche stravince ancora, perchè vede l’Ascoli figurare al 27° posto, insieme alla Sambenedettese, al 46°. Quella anconetana ha solo l’Ancona, che è posta al 40°. La neo provincia fermana è 130°. Quella maceratese 139°. Del pesarese non c’è traccia. Il Piceno vince. Le due regine del calcio marchigiano sono loro. L’Ascoli e la Sambenedettese.
(fine)
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