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Le storie di Walter: Nazzareno Migliori, Zè ‘u p’llar’

ASCOLI - Dalle uova e i polli alle olive ripiene. In oltre sessant’anni di lavoro ha costruito la sua fama spesso anticipando le tendenze. Ambasciatore dell’eccellenza ascolana nel mondo è stato promotore del marchio dop per la tenera ascolana. Il torneo pasquale di scuccetta e il premio carnevalesco “L’Asino che vola” fra le sue principali iniziative per la salvaguardia delle tradizioni nella sua città. Vi raccontiamo la sua storia
...

Il popolare Zè al girarrrosto della sua polleria

 

di Walter Luzi

 

Quel bambino che a sette anni vendeva, insieme al padre, le uova al mercato di Ascoli, ne ha fatta di strada. Nazzareno Migliori, meglio conosciuto come Zè ‘u p’llar’, è andato sempre fiero del suo lavoro, e del suo costante impegno per la valorizzazione delle eccellenze locali. Ha lavorato sodo, e girato il mondo. Ha realizzato i suoi sogni, sempre mosso dall’amore, disinteressato, per la sua città e per le sue tradizioni. Come la scuccetta, o il Carnevale. Per il bello e il buono che riserva a chi ci arriva, sempre ben al di là dell’interesse di bottega.

 

E’ stato fra i primi ad intuire le potenzialità dello slow-food, e a inventarsi quello che poi diventerà, inflazionandosi, lo street-food. Sempre innovando, anticipando i tempi, e rischiando in proprio. Le principali manifestazioni gastronomiche, italiane e planetarie, lo hanno visto protagonista. Con la friggitrice, due bottiglie d’olio e qualche chilo di buona oliva all’ascolana già panata, nella scatola di cartone legata con lo spago, stretta sotto il braccio. Le uova e le olive verdi tenere locali, che ha contribuito a tutelare, le pallette, a cui dedicato la sua vita lavorativa. Dopo i polli. A cui ha legato le sue fortune e il suo nome. Amore mai tradito. O rinnegato. Lo hanno sempre spinto l’orgoglio per le sue radici e per le cose buone, sane, genuine, e caratteristiche, della sua terra. Questa è la storia di Nazzareno Migliori. Zè ‘u p’llar’.

 

Nella polleria di Via Pretoriana

FAMIGLIE E IMPRESE

 

Il papà di Nazzareno, Augusto Migliori, è di Sant’Egidio alla Vibrata. Discende da una famiglia di ovari che si tramanda il mestiere, di padre in figlio fin dalla metà dell’Ottocento, quando i suoi avi facevano la transumanza fino ai mercati della capitale con i tacchini. A piedi ovviamente. Ci impiegavano una quindicina di giorni da Sant’Egidio fino a Roma. Augusto gira per le campagne fra Abruzzo e Marche sul suo carretto trainato dai cavalli per acquistare le uova dai contadini e rivenderle poi nei vari mercati. Le stiva nelle casse da ottocento uova. Quattro strati da duecento perfettamente allineate in file da venti per dieci intervallati da strati di paglia. No moderno packaging di inquinante plastica, ma imballi green e saggio buon senso antico. La mamma invece, Maria Stipa, è di Appignano. E’ la sorella di Luigi Stipa, plurilaureato in Ingegneria, ufficiale e partigiano, nonché inventore dell’ala a turbina, e considerato dunque il progenitore dei moderni aerei a reazione. La loro famiglia è detta di Giacchetta. Sono quelli dei frantoi per le olive, quando ancora non c’erano i filtri e l’olio si raccoglieva per affioramento. E quelli che, dagli anni Quaranta, affittavano ai contadini anche la trebbiatrice per “macchinare” il grano, nel giorno della grande, tradizionale, festa nelle aie. Due famiglie dunque, quelle da cui discende Zè Migliori, che già prima della fine dell’Ottocento, sapevano bene cosa significasse fare impresa.

 

LE UOVA PER L’ALBERGO POSTA

 

Nazzareno Migliori è nato, come tanti, nel 1947. I fortunati che erano riusciti a tornare vivi dalla guerra infatti scommettevano così sul futuro. Procreando. Il papà Augusto era un reduce dal fronte ellenico. Il Duce, spedendocelo, aveva promesso dal solito balcone di spezzare le reni alla Grecia, invece Augusto era finito nei campi di prigionia in Germania. Nazzareno nasce alla B’tt’còla, Villa Sant’Antonio, dopo Adele, che vive e ha ancora un negozio di alimentari a Castel di Lama, ed Emilia, nate entrambe prima della guerra. A sette anni sta già a vendere le uova insieme al padre in piazza della verdura.

 

«Non è che fossi speciale io – racconta Nazzareno – era normale, all’epoca, per tutti i figli dei commercianti, o artigiani di ogni genere, cominciare presto a dare una mano nelle attività di famiglia». Ogni mattina da piazza dell’erba va fino alla pasticceria Angelo, a fianco dell’albergo Posta, sotto il piccolo portico in fondo a Via Vidacilio, con il suo cesto pieno di uova in collo. Duecento per volta. Più di dieci chili di carico molto fragile, da maneggiare con cautela. Il padre lo porta al mercato con sé su una Vespa Piaggio munita di un piccolo cassone scoperto dietro, dove carica le tre pile di gabbie piene di uova. L’ultima in alto è vuota. E’ lì dentro che, sopra la paglia, prende posto, rannicchiandosi, il piccolo Nazzareno. Il padre poi copre lui, insieme a tutto il carico, con un telo di plastica per non fargli prendere troppo freddo lungo il tragitto fino in città. Pochi chilometri lungo la Salaria, che attraversa, ancora stretta e tortuosa, le campagne coltivate di Monticelli.

 

DALLE UOVA AI POLLI

 

Dietro una di quelle curve, all’alba di una domenica di ottobre, sulla strada verso il mercato di Ascoli, la piccola apetta di Augusto incappa in un brutto incidente. Un pullman delle autolinee Felicioni nel tentativo di evitare un carretto a cavallo proveniente in senso contrario la sbalza fuori strada.

 

Il piccolo Nazzareno ne esce miracolosamente illeso. Il papà invece, accompagnato in ospedale dallo stesso autista con la sua corriera, riporta la frattura di una gamba. Tutto il carico delle uova finisce, anticipatamente, in una gigantesca frittata nel fossato. Per tutta la famiglia è un brutto colpo. Nei tre mesi della sua forzata inattività sono Nazzareno e le sorelle più grandi a tirare avanti la baracca. Soprattutto Adele, che sostituisce il padre nella vendita delle uova al mercato.

 

Lasciatosi alle spalle il difficile momento, Augusto guarda al futuro. Sono i cugini Marino e Olindo Migliori a convincerlo. Nella capitale il primo ha aperto una polleria. Il secondo una pasta all’uovo. Mentre Emilia va a fare un po’ di apprendistato a Roma nella polleria di Marino, Augusto si mette in cerca di un locale. Ne trova uno in Via D’Ancaria, ma è Umberto Seghetti a proporgliene un altro in Via Pretoriana, dove, da poco, ha chiuso i battenti una trattoria. E’ il 1958. Via Pretoriana la conoscono tutti, anche se nessuno la chiama con il suo nome.

 

LA COSTA DELL’OSPEDALE

 

Quando il centro storico di Ascoli era anche il centro commerciale di Ascoli, pullulava di gente. E la costa dell’ospedale era sempre molto affollata. «Era la via più commerciale della città – spiega Nazzareno – perché la più trafficata in ogni giorno dell’anno. Ma all’inizio stentammo molto, perché la gente era abituata ad acquistare animali vivi che poi si cresceva e macellava in proprio, a casa sua. Noi invece li proponevamo già puliti e pronti da cuocere. Era una innovazione assoluta per la nostra città. Ma certe mentalità arcaiche furono difficili da vincere. La maggior parte delle persone continuava ad andarseli a comprare vivi al mercato, e passava alla larga dalla nostra vetrine, dove, mormorava scandalizzandosi, noi vendevamo animali morti…».

 

Dei polli, i Migliori, non buttano via nulla. «Li compravamo in campagna insieme a galline e conigli – racconta sempre Nazzareno – e li macellavamo nel nostro laboratorio di Castel di Lama. I polli li spennavamo con le nostre mani, a secco, senza acqua, e le piume le vendevamo per riempire i cuscini. Non si sprecava niente. Nel 1962 mia sorella si sposò, ed io, già ripetente alle commerciali, a quindici anni presi il suo posto nella polleria della costa dell’ospedale».

 

Lui si era già inventato il giro dei negozi di generi alimentari e di frutta e verdura per la vendita delle uova. La disponibilità di materia prima aumentava con l’apertura dei primi allevamenti, e per i negozi poter contare su un approvvigionamento quotidiano e puntuale era importantissimo. «Sarà che ragazzino com’ero – ricorda sempre Nazzareno – ispiravo tenerezza e simpatia, sarà che di piccoli negozi ce ne erano tantissimi, a quel tempo, in ogni via di Ascoli, fatto sta che gli affari andarono subito benissimo».

 

Hanno inventato in quel periodo, più o meno, i primi cartoni specifici per il trasporto delle uova. Nel 1963 il laboratorio per la macellazione e preparazione si trasferisce da Castel di Lama ad Ascoli, in via delle Zeppelle. Il papà di Zè, Augusto, non cela la sua preoccupazione per i debiti fatti acquistando quella casa, con il laboratorio annesso ed il terreno intorno. Nazzareno ci abita ancora. E i debiti furono presto saldati. Grazie ad un’altra innovazione. Un’altra felice intuizione. Zè ‘u p’llar’ è sempre un passo avanti.

 

LA SVOLTA DEL GIRARROSTO  

 

«Mia sorella Emilia – racconta sempre il popolare Zè Migliori – dopo il matrimonio, aveva aperto anche lei, a San Benedetto, una polleria. Un rappresentante di Pescara le aveva proposto di installare in negozio un girarrosto. Capii subito che la cosa poteva funzionare, e, di concerto con papà, ne installammo subito uno anche noi». Correva l’anno 1965.

 

«Ancora oggi – racconta sempre Nazzareno Migliori – i più anziani mi dicono di ricordare quel buon profumo di pollo arrostito che invadeva tutta la via fino alla vicina piazza Roma. E ti credo. Non avevamo in laboratorio nemmeno una canna fumaria per l‘aspirazione dei vapori… Con tutti quei polli che smerciavamo ogni giorno, il calore del forno, l’unto del grasso, il sangue, era da schiattare lì dentro. Ma il mondo quello era…».

 

L’unico alimento che era permesso vendere arrostita, allora, era la porchetta. Il boia, al secolo Alfredo Costantini, con il figlio Nazzareno, in piazza dell’erba, era quello più rinomato. A volte quelli di Force e di Cossignano scendevano con il loro camioncino a tentare di fargli concorrenza. Per le grandi feste arrivavano anche i pesciari a vendere le loro fritture pronte, ma il pollo arrosto è la grande novità per la spesa quotidiana. «Perchè più a buon mercato – spiega Nazzareno – ne arrivavamo a vendere fra i  mille e i millecinquecento a settimana. Perchè con il pollo, o con il mezzo pollo, in tavola si faceva un bel companatico. Costava poco. Alla fine degli anni sessanta un nostro pollo arrosto costava mille lire. Era alla portata di ogni tasca. Quando iniziammo a fare i petti di pollo, le ali le vendevamo a parte a prezzi ancora più bassi e la gente ne faceva incetta. Perchè con due patate, o due pomodori o un’insalatina di contorno, le massaie potevano portare in tavola un signor secondo piatto. Il nostro era un negozio molto popolare, che serviva a sfamare tutti con poca spesa. La bottega era sempre piena di gente, e piena di cassette di pollame da preparare. Per non parlare dei tacchini. Da spezzare e vendere, cotti o crudi. Non so chi mi ha dato la forza per andare avanti tutti quegli anni con quei ritmi di lavoro. Quando arrivavo la mattina alle sette e mezza cerano trenta persone davanti alla serranda ad aspettarmi. Così come alla riapertura dopo la pausa pranzo. Papà cominciava ad essere anziano, e io non potevo più farcela da solo. Mi salvò uno dei miei cugini di Sant’Egidio, mio omonimo, ma di otto anni più giovane di me, che venne a darmi una mano. Il nostro pollo ha una particolarità, buono o cattivo è soggettivo, ma sicuramente ha lo stesso sapore di cinquant’anni fa. Sempre condito alla stessa maniera, sempre cotto alla stessa maniera. Quattro generazioni di ascolani possono confermarlo. Non abbiamo mai ceduto alle mode del momento, o fatti tentare dalle novità. Il nostro pollo non lo abbiamo mai rinnegato. I famosi straccetti di pollo, ad esempio, che pure sono molto richiesti, noi non li abbiamo mai fatti».

 

Nazzareno in Piazza Arringo

IL SOGNO DI NAZZARENO

 

Da ragazzino quando passava davanti all’Ideal faceva il giro un po’ alla larga. Era infatti, dopo il Meletti e il San Marco, uno dei Caffè più in e ben frequentati della città. Gli affari ora vanno benone con la polleria, ma lui, affittuario, teme di ritrovarsi sfrattato, prima o poi. E quei locali dell’Ideal sono stati sempre il suo sogno. Al primo appuntamento con un emissario del proprietario, il dottor Franco Collina, si presenta con la parananza da lavoro unta e sporca di sangue. Viene snobbato. Ma dove si presenta questo giovane pollivendolo. Invece l’affare va in porto nel 1985. Nonostante i tassi proibitivi dell’epoca, intorno al 28% se vai a cercare un prestito in banca. Uno dei suoi principali fornitori, Tomassini di Fermo, gli dà una mano. Trova un accordo bonario anche con i gestori del bar sui tempi e le modalità per liberare i locali. Il 30 ottobre 1988 apre Migliori in Piazza Arringo. E’ il salto di qualità. Ma il settore è nuovo per lui. Nuova avventura. Nuova sfida. Mentre la storica polleria di via Pretoriana continua a lavorare a palla, lui si apre alla gastronomia. Dietro quelle vetrine affacciate su piazza Arringo alza l’asticella della qualità, punta sulle tipicità storiche, come le olive all’ascolana, apre un self-service di livello e una enoteca di lusso. Anche un B&B con otto camere al primo piano. Affaccio spettacoloso, vista Duomo, su Piazza dell’Arengo. Quello di Zè ‘u p’llar’ nei primi anni è un apprendistato. In umiltà. Viene da una realtà collaudata molto redditiva con pochi operatori, a una completamente nuova, poco redditiva con tanti operatori. Ma non demorde.

 

La scelta delle migliori uova da scuccetta

IL FASCINO DEL CARTOCCIO

 

Il cartoccio di olive fritte l’ha inventato lui. I tanti che sono arrivati dopo, quando commissionano i coni nella tradizionale carta paglia al fornitore, specificano sempre “…come quelli di Zè Migliori…”. Sono soddisfazioni.  Comincia tutto quando il nuovo locale di Piazza Arringo è ancora un cantiere. Sant’Emidio 1985. Zè scansa i calcinacci e ci piazza una friggitrice. Poco distante, sotto le logge del Palazzo Comunale, la vendita. E’ un delirio. Perchè fino a quel giorno per gustarsi un po’ di “pallette” di oliva ripiena all’ascolana dovevi aspettare un pranzo di matrimonio o una festa grossa alla tavola di qualche massaia che sapeva farle bene. Zè Migliori te le fa mangiare, invece, quando vuoi. Calde calde. Giugno 1987. A Montecarotto, nell’anconetano, esordio in trasferta delle olive ascolane in cartoccio alla festa del Verdicchio. Un successo fragoroso. Esaurite tutte le scorte in poche ore.

 

«Oggi lo chiamano street food  – racconta sempre Migliori – e hanno inflazionato il mercato, ma noi siamo stati i primi a portare in giro per l’Italia le nostre olive in cartoccio. Per farle assaggiare, farle conoscere. Valorizzando così una tipicità del nostro territorio. E molte manifestazioni gastronomiche, pur di averci presenti, non ci facevano pagare neanche lo stand. Come a Porto San Giorgio, quando, in estate, ci regalavano il posto sul lungomare, purchè fossimo sempre presenti . Io e i miei cartocci di olive, con la Camera di Commercio siamo stati anche a Lisbona e Copenaghen. Con la Provincia, fino in Israele e in Giappone».

 

Bambini ai tornei di scuccetta

Sono solo alcuni fra i tantissimi altri Paesi nei quali ha fatto conoscere la specialità ascolana. Una sorta di ambasciatore della gastronomia picena in Italia e nel mondo. «Al Salone del Gusto di Torino – racconta sempre Zè Migliori – non si capacitavano che avessimo tolto il nocciolo alle olive per farcirle prima di panarle e poi friggerle. Ma la bontà del risultato la potevi leggere sulle loro facce”. Il suo stand meta abituale per teste coronate, vip e campioni dello sport. “Nu zuocche d’ liva fritta per tutti!». Tutte le principali manifestazioni di slow food nazionali lo vedono protagonista. Bra, Genova, Verona fra le tantissime altre. In televisione è ospite dei programmi della Clerici e della Isoardi con le sue olive ascolane. Fritte al momento. Farcite con le carni migliori, e le sacre ricette della tradizione ascolana. E un’oliva Dop magari.

 

L’OLIVA VERDE TENERA ASCOLANA DOP

 

Si commuove a parlarne. «Alle varie manifestazioni – ricorda Zè – trovavamo la Nocellara del Belice, la Tagiasca della Liguria, la bella di Cerignola. Perché noi non potevamo promuovere anche la nostra oliva tenera ascolana? L’oliva greca, più bella da vedere e molto meno costosa, ne aveva decretato la fine. Le cose belle e buone della mia terra erano da rivalutare. Patrimoni quanto meno da tutelare, da valorizzare». 1990. Pippo Seghetti dell’Ispettorato agrario lo indirizza dall’agronomo Francesco Lucidi, che gli dà una bella mano. Esperto infatti per i suoi trascorsi alla CEE, lo assiste nel laborioso iter che si protrae per quindici anni. Senza esborsi per nessuno, né pubblico, nè privati, e solo nell’interesse generale. Forse proprio questa mancanza di intestazione, di paternità, e dunque di visibilità per partiti politici, amministrazioni locali o bandiere di confederazioni, si dimostra controproducente. Si arriva dritti all’obiettivo, ma senza padrini. La sua iniziativa viene, forse, snobbata.

 

La denominazione di origine protetta, che arriva nel 2005, è un valore aggiunto per una tipicità del territorio, ma appare come fumo negli occhi a tanti operatori del settore. «Anche se produzione attuale è ancora piuttosto ridotta – commenta sempre Zè Migliori – la denominazione di origine protetta ha creato una cassa di risonanza incredibile, una visibilità senza precedenti su giornali e televisioni italiani ed europei, e generato un flusso di turisti mossi dall’ interesse per la gastronomia locale. Speculazioni e interessi privati hanno frenato il movimento, opponendosi persino ad un prezzo minimo garantito riservato ai piccoli produttori di oliva dop locale». Uno schiaffo che affossa in partenza la tutela di una eccellenza locale, invece di incoraggiarne la crescita. Una crescita già difficile in sé, perché l’oliva tenera ascolana resta prodotto di nicchia, di non facile coltivazione e di ancor più difficile redditività. Deluso? «No – risponde deciso lui – perchè se tanta gente in questa città oggi può guadagnarsi da vivere con le olive all’ascolana, il merito è stato anche di questa iniziativa, che l’ha fatta conoscere al mondo grazie a questo gran parlare che se ne è fatto».

 

Migliori in Piazza Arringo meta abituale dei turisti

LA SCUCCETTA E L’ASINO CHE VOLA

 

Il papà di Nazzareno, Augusto Migliori, se ne va nel 1989. Tre anni prima era nato il nipotino che porta il suo nome, e, avanti, l’attività di famiglia. Il secondo, Francesco, studi classici alle spalle, ha preferito fare altro nella vita. Nel  1990 Nazzareno sposa Marinella. Sei anni dopo entra in funzione il nuovo laboratorio di Campolungo. La ditta ora può contare su una ventina di collaboratori e lui comincia a viaggiare molto. «Negli ultimi anni – confessa – ho cercato di recuperare gli anni della mia gioventù spesi dietro il bancone di via Pretoriana».

Ha toccato tutti i continenti, fino in Papuasia, e ha dormito in un igloo con gli eschimesi. Viaggi esclusivi per pochi danarosi industrialotti e facoltosi professionisti. A chi gli chiede “E lei, in che campo fa business?…” risponde, disarmante: «Io vendo polli». Con orgoglio. La storica polleria di Via Pretoriana chiude i battenti nel 2013, «Non aveva più senso – spiega lui  – ora i cibi pronti, di ogni specie e qualità, li trovi ovunque. In ogni supermercato ci sono trenta metri di banconi con la gastronomia da asporto». Ma il pollo non si tradisce. Il vecchio girarrosto del 1965 continua a girare ancora nella nuova sede di Piazza Arringo. La ditta che lo ha costruito più di mezzo secolo fa, la Termomeccanica italiana di Pescara, è andata fallita.

 

Con uno dei suoi mitici cartocci di olive

«E ti credo che hanno chiuso – commenta Zè Migliori – questo che ho dopo cinquant’anni di utilizzo continuo è ancora come nuovo!”. Da vecchio ovaro di famiglia si ricorda ancora le gare di scuccetta della sua infanzia. A Maltignano, o a Patrignone, dove andava in compagnia del padre. “Negli anni Cinquanta e Sessanta – ricorda sempre Nazzareno Migliori – l’uovo pasquale di cioccolato non esisteva ancora. La scuccetta invece si. E l’uovo sodo dell’avversario, appena lo rompevi con il tuo, e lo vincevi, te lo dovevi mangiare subito, mica si poteva sprecare». Una tradizione popolare pasquale che lui ha voluto perpetuare nella sua città. Così come ha saputo lasciare la propria impronta nel Carnevale storico ascolano. La maschera più fantasiosa, singola o doppia, del Carnevale in piazza, vince, da trentacinque anni in qua, il premio che lui mette in palio ogni anno con il concorso patrocinato dal Resto del Carlino. Si chiama L’Asino che vola. Davanti alle sue vetrine in Piazza Arringo il suo chioschetto con un maxi cartoccio pieno di olive fritte come insegna, continua ad attirare, irresistibilmente, i turisti.

 

«Sono stato il primo – dice sempre Nazzareno Migliori – a vendere le olive fritte in città. Oggi solo a Piazza Arringo lo fanno una decina di esercizi. Più di una trentina, forse, nell’intero centro storico. Ma non esiste concorrenza. Sono contento di questo. Significa che il mio lungo impegno in questa opera di valorizzazione ha dato buoni frutti. Che ora siamo diventati un vero distretto gastronomico, perché il prodotto, una eccellenza, caratterizza la città. Dove le pallette sono più buone che altrove. Dal mio primo chioschetto delle olive hanno tratto ispirazione manifestazioni importanti nel settore, come Fritto Misto. E le nostre olive ripiene fritte continuano a fare da piccolo volano per tutta l’economia cittadina. Va bene il pallone, va bene la Quintana, vanno bene i monumenti – chiosa – ma ricordiamoci sempre che il pallone, le rievocazioni storiche e i monumenti ce l’hanno tante città. Le olive all’ascolana ce le ha solo Ascoli Piceno».

 

In cronaca sull’Herald Tribune

 

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