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Il lavoro “invisibile”
dei medici di famiglia,
Paolini: «E’ giusto così
ma sia chiarito il nostro ruolo»

EMERGENZA CORONAVIRUS - Il veterano dei professionisti piceni mette in evidenza tutte le criticità dell'attuale sistema sul fronte della pandemia. «Ma manca la sinergia con Sisp e i colleghi ospedalieri; i tamponi ora si fanno anche dopo una settimana dalla richiesta; facciamo noi il tracciamento dei contatti e mettiamo le persone in quarantena; serve un protocollo»
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di Maria Nerina Galiè

Sotto stress: è una condizione comune per tutti coloro che operano nel campo della Sanità alle prese con l’emergenza Coronavirus. Ma c’è, tra i professionisti della salute, chi svolge un’opera indispensabile quanto “invisibile”. Si tratta dei medici di medicina generale, il ponte tra i contagiati, o che temono di esserlo, e i servizi ospedalieri e di prevenzione.

Il dottor Italo Paolini

Ad evidenziarlo – premettendo: «E’ giusto. Dobbiamo e vogliamo farci carico dell’impegno e contribuire a sconfiggere il virus» – è il dottor Italo Paolini, medico di famiglia di Arquata e veterano della categoria nel Piceno, di cui spesso si è fatto portavoce.

«Siamo sotto pressione come tutto il sistema. E i medici ospedalieri come quelli del servizio di prevenzione stanno facendo un lavoro enorme.

Ma mentre i loro accessi sono quantificabili, seppure i numeri non rassicurano, ci si chiede mai chi assiste le migliaia di persone che si stanno curando a casa? E i cittadini che sono stati a contatto con un positivo? E coloro che hanno sintomi e temono di essere contagiati? Parliamo di centinaia di persone con cui ogni giorni abbiamo a che fare, tra telefonate, mail e messaggi whatsapp».

Il dottore tiene e a precisare che il suo «non è un lamento».

«Non vogliamo scaricarci dalle nostre responsabilità o dall’impegno, seppure gravoso.

Vogliamo solo chiarezza sul nostro ruolo nella lotta alla pandemia. E maggiore sinergia con il Sisp (servizio di Igiene e Sanità pubblica) e i colleghi ospedalieri.

Ora invece, spesso ci ritroviamo a fare cose che non ci competono, ma che comunque facciamo volentieri».

Cosa ad esempio?

«Se prenoto un tampone, adesso può passare anche una settimana prima che venga effettuato e giorni prima di avere il risultato. Questo è legato alla mancanza, a livello nazionale, di reagenti della Roche, che servono al laboratorio analisi dell’Area Vasta 5. Allora il paziente va in un laboratorio privato. E’ preoccupato. Si rivolge a noi. E’ normale.

Se però è positivo, ma nello stesso tempo non rientra nel sistema del Sisp, non vengono tracciati i suoi contatti stretti nè viene fatta partire la quarantena. Allora devo farlo io. E’ doveroso che lo faccia io. E mando una mail al Sisp con tanto di codice Inps di isolamento».

Ma è questa la strada giusta? Le comunicazioni rischiano di perdersi nei meandri del web?

«E’ quello che dobbiamo sapere. Poi si pone la questione della guarigione, per il rientro a scuola, al lavoro, nella comunità in generale. Al momento solo il Sisp può rilasciare il certificato, alla luce dei tamponi di conferma».

I medici di famiglia vogliono fare, non improvvisare. E per questo il dottor Paolini ha scritto una lettera all’Asur e all’Area Vasta 5.

«Vogliamo un protocollo. La Regione Veneto, ad esempio, ha trovato una soluzione al problema che è di tutte le regioni. Ha iniziato a fare chiarezza nei compiti approvando un protocollo d’intesa con i medici di medicina generale (leggi qui il protocollo della Regione Veneto approvato il 30 ottobre).

Abbiamo abbozzato noi un protocollo, tra colleghi di medicina generale e i coordinatori delle Usca, e che comprende terapie, schede di monitoraggio e criteri univoci per attivare le Usca o richiedere l’ospedalizzazione».

Come vengono seguiti i pazienti a casa?

«Attraverso le schede di monitoraggio, appunto, tutti i giorni teniamo sotto controllo i parametri vitali con telefonate e spesso con videochiamate. Se ravvisiamo la necessità, attiviamo le Usca che li controllano a casa.

Non possiamo farlo noi, altrimenti se ci contagiamo diventiamo untori.

Se necessario richiediamo l’ospedalizzazione. Nel mio caso, ho curato a casa la maggior parte di pazienti, anche piuttosto gravi. Ma quando mi sono rivolto ai colleghi ospedalieri, si sono immediatamente dati da fare per trovarmi un posto in Rianimazione. Stanno dando il massimo».

Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro?

«Per i prossimi 7-10 giorni almeno saremo ancora in estrema emergenza. La curva non accenna minimamente a piegarsi».

 

 



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