Le storie di Walter: Giuseppe “Peppe” Di Caro, il fotografo dei vip

ASCOLI - Insegnante per professione, fotografo per passione. La sua vita, divisa fra cattedre e reflex, ha attraversato e fissato nella immensa galleria dei suoi scatti, trent’anni di vita e personaggi dello spettacolo italiano
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Peppe di Caro con il David di Donatello

 

di Walter Luzi

 

Per Peppe Di Caro, il fotografo ascolano dei vip, comincia tutto quando la carissima zia Linuccia gli regala per il suo decimo compleanno una piccola macchinetta fotografica. È una compact Canonette. Un dono, il gioiellino tecnologico d’avanguardia della Canon, che risulta particolarmente gradito al piccolo Giuseppe. Il suo lungo cammino nella fotografia inizia quel giorno, alimentando una passione crescente, stimolando la sua curiosità e il suo occhio che, attraverso l’obiettivo, rivolge inizialmente agli scorci più suggestivi e ionici della sua città. Palazzi, torri, piazze, rue. È suo padre ad esortarlo a rivolgere verso le persone il suo sguardo e la sua attenzione, invece di continuare a scattare delle semplici foto-cartolina. Dandogli retta, rivolgendo il mirino delle sue reflex verso i volti e i sorrisi delle persone, quelle comuni, prima delle Very Important Person, dello spettacolo nel suo caso, troverà la chiave per trasformare quella sua passione in una professione.

Nicola Di Caro, a destra, durante il secondo conflitto mondiale

 

Gli esordi con Flash

 

Nicola Di Caro, il padre di Peppe, originario di Caltanissetta arriva in Ascoli, dove raggiunge la moglie, nel 1942, per scampare, insieme ai bombardamenti alleati.

 

Stanno in centro, in via Achille Argenti, l’attuale via Giudea. Nicola sarà presto assunto come impiegato al Genio Civile, e se ne andrà troppo presto, a soli sessantacinque anni. Maestra elementare, invece, la mamma, Ada Giganti, che di anni ne compirà, che Dio la benedica, 102, il prossimo mese di novembre.

 

Il piccolo Giuseppe, classe 1963, viene al mondo in un giorno molto particolare, il 21 giugno, che segna il solstizio d’estate, il giorno più lungo dell’anno. Frequenta le elementari alle Canterine, nella scuola Malaspina, e poi le Medie alla “Luciani”, perché la sua famiglia si è trasferita nel frattempo da campo Parignano a Porta Maggiore, o, meglio, per essere più esatti, a li Callare. Fa prestissimo il suo esordio nel corteo storico della Quintana, nella coppia di paggetti, insieme a Mariolino Vitelli, che accompagna il console Mario Vitelli.

 

L’articolo continua dopo le immagini

Peppe paggetto nella Quintana insieme a Mariolino Vitelli affiancano il console Mario Vitelli

Una delle ultime foto di Nicola e…Di Caro

 

Quando muore il padre lui, figlio unico, ha solo quattordici anni. Un brutto colpo. Frequenta da poco il vicino Istituto Artistico “Licini”, dove conseguirà il diploma, ovviamente in Fotografia, nel 1982. Si diletta di chitarra, e suona in un complessino di amici.

Alla chitarra nel 1980 con Vincenzo Scarpellini alla batteria

 

È Vincenzo Prosperi, fondatore e direttore della benemerita rivista locale Flash, ancora oggi ricchissimo archivio storico di antiche notizie cittadine, a dargli la prima opportunità come fotoreporter. Non ancora diciottenne inizia a documentare così, con i suoi scatti, la cronaca cittadina.

 

«Fu una bella esperienza anche quella – confessa Peppe Di Caro – nella vita e nel lavoro non bisogna buttare via nulla. Mi ci buttai a capofitto, con entusiasmo. Oggi non è più così. Anche i ragazzini alle prime armi chiedono prima dove vado? A fare cosa? E, soprattutto, se me ne viene in tasca qualcosa. Se non ci guadagno niente, a cosa mi serve? …».

 

Il New Orleans Caffè

 

È un amico, invece, a segnalargli una prima, concreta opportunità lavorativa nel Lazio. La diocesi di Rieti vuole censire tutti gli organi presenti nelle sue chiese, che sono rimaste danneggiate dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Occorrono rilievi fotografici nei vari luoghi di culto che li ospitano, per poterli così catalogare, e potrebbe occuparsene lui. Peppe, che sente già la sua città andargli stretta, non ha esitazioni ad accettare la proposta. D’altronde dovrebbe essere questione solo di qualche mese.

 

Invece a Rieti ci resterà venticinque anni. Grazie anche ad una cattedra di fotografia che ottiene presto al locale Istituto d’Arte. È intitolato alla memoria di Antonino Calcagnadoro, un pittore reatino del primo Novecento che lavorerà molto soprattutto nella vicina Capitale. Roma. La città eterna affascina ed attrae, irresistibilmente, il giovane ascolano. Peppe passa lì quasi tutti i suoi giorni liberi, perdendosi fra le sue vie che grondano storia, arte e umanità. In via Margutta, dove ha allestito una mostra fotografica su Federico Fellini, fa i primi incontri importanti. Fra i tanti visitatori arriva, infatti, anche il popolare cabarettista e cantante Lino Patruno. Fanno amicizia. È proprio l’artista calabrese ad invitarlo in uno dei locali meglio frequentati della città eterna. Il New Orleans Caffè.

 

«All’epoca – ricorda Peppe – c’erano dei punti di ritrovo abituali per attori, registi, cantanti, musicisti, che oggi non ci sono più. Come era, in via XX Settembre, appunto, il New Orleans». Peppe viene introdotto così in un’ambiente frequentato da tanti personaggi dello spettacolo, che ha potuto vedere fino a quel momento solo nelle foto sui giornali, o in televisione. In quegli anni Novanta diventa un habitué del New Orleans Caffè, dove nel tavolo vicino può capitare di salutare personaggi come Franco Nero, o Isabella Rossellini, o il professor Luciano De Crescenzo.

 

Di Caro con la Rossellini

Con il professor De Crescenzo

 

Questo giovanotto ascolano sa stare al mondo, sa muoversi in quell’ambiente nuovo per lui, e presentarsi sempre con gentilezza e garbo. Ispira fiducia e simpatia. Con relativa facilità fa conoscenze importanti, allaccia rapporti. Come con Rinaldo Geleng, il celebre pittore e cartellonista cinematografico, che sarà il ritrattista preferito, solo per citare i più noti, di vip, del calibro di Carla Fracci, Leopoldo Trieste, Alberto Sordi, Luca di Montezemolo, o l’avvocato Gianni Agnelli. Conoscerà, e frequenterà lo studio, anche della ritrattista ufficiale dei Papi, la russa Natalia Tsarkova, che figura con le sue opere nei Musei vaticani.

 

I David di Donatello

 

Nel 1984 Peppe sposa Valentina Di Palma. «Ancora mi sopporta…», dice lui oggi. Avranno due figli. Nicolò, nato nel 1988, che si diplomerà in batteria jazz al “Santa Cecilia”, e Desirèe, arrivata nel 1993, che seguirà invece le orme paterne. La “sua” macchinetta fotografica preferita resterà a lungo la Pentax MX, una reflex a pellicola. Già da giovanissimo ha allestito in proprio anche una piccola camera oscura per poter sviluppare i rullini in bianco e nero in casa. Un classico, per ogni, vero, appassionato fotoamatore di quegli anni.

 

Mostra allo Sporting Club nel 1988

Ancora con il David

 

Le mostre delle foto di Peppe Di Caro, ospitate anche allo Sporting club della sua città nel 1988, conosceranno persino la ribalta internazionale del Festival del cinema di Cannes, ma moltissimi suoi scatti sono legati al suo ultradecennale ruolo di fotografo ufficiale ai premi “David di Donatello”. Una esperienza esaltante iniziata nel 2005, grazie ai buoni uffici di Gian Luigi Rondi.

Con Gianluigi Rondi

 

Il grande critico cinematografico lombardo gli aveva fatto i complimenti dopo aver visto i primi piani del poliedrico attore e drammaturgo calabrese Leopoldo Trieste. Un ruolo ricoperto da Peppe De Caro al prestigioso premio cinematografico italiano, ininterrottamente, fino al 2018. Tredici anni dentro il vippaio del grande e piccolo schermo gli hanno permesso di collezionare una sterminata galleria di foto opportunity che comprende, sbirciando in parte e in fretta, i corposi album, registi, attori e musicisti.

 

Ettore Scola e Ligabue, Lucio Dalla e la Cavani, Quentin Tarantino e Tony Renis, Pif e Jovanotti, Christian De Sica e Tony Servillo, Ottavia Piccolo e Fiorella Mannoia. Ma anche miti come Gino Strada. Filosofi e pensatori come Marotta e Gregori. E anche giornalisti, produttori, scenografi e costumisti. Star del cinema contemporaneo, come Antonio Albanese, e leggende del palcoscenico come Ferruccio Soleri, rimasto nella storia del nostro teatro come primo e insuperato interprete dell’Arlecchino servo di due padroni. Una invidiabile galleria di scatti in questo mondo dorato, con pochi eguali in Italia, di cui Peppe Di Caro è andato sempre orgoglioso.

 

La Lollo e Miss Italia

 

Peppe Di Caro può vantarsi di aver potuto reggere fra le sue mani anche l’ultimo premio David di Donatello realizzato in oro massiccio. È quello assegnato, nel 1956, a Gina Lollobrigida come attrice protagonista nel film “La donna più bella del mondo”.

 

Gina Lollobrigida con il David di Donatello 1956

Di Caro con la Lollo

 

Ha potuto farlo nella casa romana della diva, al termine di un servizio fotografico che aveva rischiato di saltare in extremis. « – spiega Peppe – perché, come avrebbe fatto, credo, ogni altro padre al posto mio, avevo portato con me anche mia figlia, per darle modo di poter vedere da vicino la grande Gina Lollobrigida. Questo fatto contrariò invece, moltissimo, l’attrice, perché non era stato preventivamente concordato. Per fortuna riuscii a rabbonirla, realizzare il fotoservizio, e ad avere il grande privilegio, alla fine, di poter prendere in mano quel David tutto d’oro».

 

Nel 1998 un trio di fenomeni illuminati riesce nell’impresa di portare Miss Italia sulla Riviera delle Palme. Il patron del concorso, esclusivista del marchio per Marche e Abruzzo, Mimmo Del Moro, il presidente della locale Assoalbergatori, Domenico Mozzoni, e il sindaco Paolo Perazzoli, favoriscono, in perfetta sinergia, per otto edizioni consecutive, fino al 2005, lo svolgimento a San Benedetto del Tronto, delle pre-finali nazionali di Miss Italia.

 

Con le ragazze di Miss Italia

Con Enzo Mirigliani

 

«Quella bellissima, e forse irripetibile iniziativa – continua Di Caro – non la ricordo come un’esperienza serena. Quando seppi che erano state aggiudicate a San Benedetto andai, infatti, a trovare il patron del concorso, Enzo Mirigliani, nei suoi uffici della Miren a Piazzale Flaminio. Mi invitò alla manifestazione, ma una volta a San Benedetto agli occhi dell’organizzazione, e dei colleghi locali, sono stato sempre visto quasi come una sorta di intruso, di un forestiero imbucato…».

 

Dispiace, ma l’addetto stampa storico del concorso, Marcello Cambi avrà, in compenso, queste parole per lui nella pubblicazione limited edition “Le miss e le palme” del 2015, che ricorda quegli anni irripetibili: «…le sue foto sono specchio di emozioni che catturano sempre l’attenzione, perché, al di là della perfezione tecnica, non sono mai scontate, mai inutili…».

 

La copertina del volume “Le miss e le palme”

L’articolo dedicato da Marcello Cambi a Peppe Di Caro all’interno del libro

 

Il ritorno nelle Marche

Il violento terremoto del 2016 lo convince a tornare nelle Marche, a casa sua.

 

«Fu una vera tragedia – ricorda – anche a Rieti la scossa fu avvertita molto forte. Quella notte stessa feci in fretta le valige per allontanarmi il più possibile da lì. Verso la costa, verso casa, lungo la vecchia Salaria. Non potrò mai dimenticare tutte quelle persone terrorizzate per la strada, dove si erano riversate, da Antrodoco in poi. Passai da Amatrice che stava albeggiando. Le distruzioni erano evidenti ovunque. Anche qui tanti scampati ai crolli vagavano lungo i lati della carreggiata. Sembravano statue di marmo. Seminudi, completamente imbiancati dalla polvere, molti feriti e sanguinanti, lo sguardo fisso nel vuoto. Un vero shock. Per loro, ma anche per me. Una esperienza orribile che mi ha segnato profondamente. Nei giorni successivi furono in tanti a contattarmi per realizzare dei reportage fotografici nei centri più colpiti. Rifiutai tutte le numerose, e pure economicamente interessanti, proposte che mi giunsero per questo tipo di lavoro. Ero troppo scosso, e poi quello non era certo il mio linguaggio. Non ho mai fotografato la distruzione, sofferenza, il dolore, la morte. Ho sempre fissato solo argomenti, situazioni e soggetti più leggeri».

 

Peppe Di Caro

Con Tornatore

Con Asia Argento

Con Tony Servillo

 

Passato e futuro della Fotografia

 

Nella sua città Peppe Di Caro torna da prof ad insegnare nell’Istituto d’Arte “Osvaldo Licini”, dove si era diplomato quasi trent’anni prima. La sua prima Pentax MX a pellicola è rimasta al centro della ricca collezione privata, composta da una quindicina di reflex, più che altro valide ormai solo come oggetti di antiquariato.

 

«Ripensando alla mia vita di fotografo – continua Peppe Di Caro – ritengo di aver fatto bene. Ogni servizio mi ha permesso, infatti, di fare nuove conoscenze, vivere nuove esperienze, di aprirmi altre porte».

 

Una intraprendenza discreta, un tatto, un carattere gioviale ed empatico, che non è comune, e che, spesso, gli ha consentito di avere rapporti, anche umani, privilegiati con tanti vip. La tecnologia, intanto, ha fatto passi da gigante.

 

«La messa a fuoco completamente automatica sulle nuove macchine – ci dice Di Caro – secondo me, è un’arma a doppio taglio. Lo scatto a raffica aiuta solo chi documenta sport dinamici, o chi fa caccia fotografica. A scuola ci dicevano che usarlo equivaleva a non saper fare le foto. Ma forse esageravano un po’…».

Con Ettore Scola

 

Quasi tutto, ora, è automatico. Più compatto, più facile, più veloce. Ma ha tolto anche, forse, un po’ di sentimento allo scatto. Quei leggeri fuori fuoco del passato che talvolta, paradossalmente, finivano per arricchire quelle vecchie foto. Perché vi trasmettevano, fissandola per sempre, l’emozione di quell’attimo, il sudore, persino, di quel polpastrello che pigiava il tastino del click. Spesso foto uniche, che restano a testimonianza di una vita intera. O di un periodo felicissimo di essa.

 

Di quelle che restano appese, incorniciate, al muro, per sempre. E che passano di mano, cambiando parete e casa, come l’unica eredità che vale davvero, quella che non ha prezzo, ma solo valore, quando chi ci ha amato di più non c’è più. Oggi con il prepotente avvento del digitale, ne scattiamo e archiviamo continuamente, a migliaia. Le seppelliamo in quantità nei dischi rigidi Hdd e nei floppy disk, li dimentichiamo nelle chiavette usb.

Con Paolo Conte

 

Ultimamente, per farci stare più tranquilli hanno inventato anche i servizi di archiviazione su cloud. Per essere certi di non perderle. Memorie artificiali fredde e infallibili al servizio di chi non è più capace di conservarle portandosele nel cuore. In realtà, dimenticandocele quelle foto, è come se non avessimo mai vissuto neppure quei momenti.

 

In compenso il photoshop, che tutto corregge ed edulcora, imperversa da tempo. Sempre niente in confronto ai nuovi, futuri, inquietanti, scenari che sta aprendo l’avvento dell’Intelligenza Artificiale. Quella che riesce a confondere facilmente verità e menzogna, autentico e falso, realtà e fantasia. E a mettere a rischio milioni di posti di lavoro. Ma parliamo di cose belle, che è meglio. Bianco e nero o colore?

 

«Bianco e nero tutta la vita – chiosa convinto Peppe Di Caro – ci permetteva di sviluppare in casa con le bacinelle degli acidi e appenderle poi sui fili con le mollettine per lasciarle ad asciugare. Non vuole essere il rimpianto per un’era romantica ormai tramontata. Anche se i ritorni di moda, come sta accadendo per i dischi in vinile, non sono mai da escludere…».

Con i musicisti ascolani Edoardo De Angelis e Saturnino Celani

Di Caro e il presidente Mattarella


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