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Le storie di Walter: i primi novant’anni di Pietro Bachetti

ASCOLI - Taglia oggi il traguardo delle novanta primavere con lo stesso entusiasmo di una vita vissuta intensamente. Divisa fra Cassa di Risparmio, l’omonima Fondazione, associazioni benefiche e sindacali. Neppure la stella al merito di Maestro del lavoro, con la quale è stato insignito, gli ha fatto dimenticare le sue umilissime origini e l’amore per la terra, con l’orgoglio delle sue radici forti, legate alle straordinarie figure dei suoi genitori
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Pietro Bachetti con la moglie, i figli, le nuore e i nipoti

 

di Walter Luzi

 

Una vita passata in mezzo a numeri, conti e bilanci. Oggi, 26 febbraio, nel giorno in cui festeggia i suoi primi novant’anni, circondato dai tanti affetti, famigliari e non, Pietro Bachetti si guarda indietro. Fino a quasi un secolo fa, quando nelle campagne del venarottese è venuto al mondo in una casa di contadini. La miseria di quegli anni rischiarata, quasi annullata, dall’amore e dalla visione illuminata dei suoi genitori. Poveri e semianalfabeti.

 

Pietro Bachetti con la moglie Alberta e i figli, da sinistra: Mauro, Giorgio e Claudio

Ma, con opere ed esempi, autentici maestri di vita, quando dai più vecchi c’era, in umiltà e devozione, tutto, ma proprio tutto, da imparare, e il conflitto generazionale non esisteva. I sacrifici e le privazioni dell’infanzia sono stati, per Pietro Bachetti, il trampolino di lancio verso i suoi successi professionali. La molla per il suo impegno civile in associazioni benefiche e sindacali, la fonte di umanità infinita e levatura morale dimostrate, con i fatti, in ogni ambito. L’amore per la campagna, per la terra, per le giornate intere passate all’aria aperta, fra i filari del suo orto, mai sopito. Ha fatto della semplicità, dell’essenzialità, uno stile di vita. Mai rinnegando, anzi andando fiero, delle sue umilissime origini.

 

Pietro Bachetti ragazzo

NATO SOTTO LA NEVE

 

Pietro Bachetti è il quarto dei quattro figli maschi. I suoi genitori, Nazzareno e Domenica sono contadini nella campagna di Villa Curti, piccola frazioncina sulla strada di Venarotta. Contadini poco istruiti. Vita molto dura. Nazzareno, classe 1893 ha fatto la quinta elementare. Un fatto straordinario per uno che a quattordici anni lavorava già, da emigrante, in Germania, e, successivamente, nel panificio Bonfigli di via Dino Angelini. Appena diciottenne gli era toccata anche la guerra, combattuta sul fronte libico. Domenica invece imparerà a leggere e scrivere solo in età avanzata, grazie alle scuole serali. Ma per essere buoni genitori non sono indispensabili, o sufficienti, le lauree incorniciate appese alle pareti. Pietro arriva dopo Alberto, Italo e Vito. Viene al mondo la domenica di carnevale del 1933 a Villa Curti. Una fitta nevicata ha imbiancato in quei giorni tutta la campagna intorno. Impossibile, con un metro di neve, correre fino a Venarotta per chiamare “la mammina”, la praticona che fa anche, all’occorrenza, le veci di ostetrica. Ci pensa Enrica Ferretti, una signora, risoluta come quasi tutte quelle dell’epoca, che abita poco distante, a tirarlo fuori dal grembo materno. Anche in casa fa un freddo cane. Lo avvolgono in un telo, e lo depongono in un vecchio setaccio il più possibile vicino al fuoco, per cercare di scaldarlo.

 

 

Con i compagni e le compagne di scuola davanti la Ragioneria

SE QUESTO RAGAZZINO POTESSE STUDIARE

 

Frequenta le scuole elementari a Villa Curti di Venarotta. Per l’esame arriva il maestro Luigi De Santis, futuro sindaco di Ascoli, a presiedere la commissione. Resta impressionato dalla preparazione del ragazzino. Va a casa sua, per parlare con i suoi genitori. Conosce bene le condizioni economiche della famiglia, ma tiene troppo a che Pietro possa continuare i suoi studi. Ne ha la stoffa. Intesa come capacità, e tanta buona volontà, entrambe non comuni. Sarebbe un vero peccato se dovesse interromperli. Domenica, “Meneca” come la chiamano tutti, non sa nè leggere, nè scrivere, ma prende in parola il giovane maestro. Comprende bene l’importanza dell’istruzione per i suoi figli, anche se imparerà diversi anni dopo a fare la sua firma. Il maestro non deve fare alcuna fatica a convincerla. Anche , il papà, è d’accordo. In qualche modo si farà. Tirando, tutti, ancora di più la cinghia. A cui si aggiungeranno, volentieri, altri buchi. I tedeschi in ritirata si acquartierano a casa loro. Le reminiscenze della lingua, appresa da emigrante, si rivelano preziose per Zè, che riesce così ad ingraziarsi la benevolenza degli ufficiali nazisti.

 

Durante il servizio militare

IL DIPLOMA DA RAGIONIERE

 

«Facevamo ogni giorno – ricorda Pietro – cinque chilometri a piedi per scendere in Ascoli, fino alla scuola di avviamento tecnico commerciale a Sant’Agostino. E cinque chilometri, sempre a piedi, per tornare a casa. Con qualsiasi tempo. Eravamo in una quindicina il primo anno. Scesi a dieci l’anno successivo. Il terzo anno rimasi solo. L’abbandono scolastico, per diverse ragioni, era molto alto e largamente diffuso». Per poter iscriversi a Ragioneria deve sostenere l’esame di terza media. Prende lezioni di latino per riuscirci. E’ studente modello. In famiglia ha già i suoi fari. La madre è religiosissima. Il padre gli insegna l’onestà, il rispetto per gli altri, e l’amore per il proprio lavoro, quale esso sia. «Mia madre e mio padre – ricorda Pietro – hanno penato per farmi arrivare a quel diploma, che all’epoca, per un figlio di contadini, era un evento straordinario. Non c’erano soldi in casa e qando tornavo da scuola, nel pomeriggio, cercavo di rendermi utile in  qualsiasi lavoro per sgravarli, per quello che potevo, delle loro dure fatiche quotidiane. Furono lunghi per tutti noi quei tre anni di avviamento, poi i successivi due di tecnica commerciale prima di riprendere con la terza media. Ma sono riuscito a diplomarmi puntualmente. Sempre a pieni voti».

 

L’ASSUNZIONE IN CASSA DI RISPARMIO

 

Si diploma ragioniere perito commerciale nel 1956. Presta servizio militare di leva a Verona e Riva del Garda nella contraerea pesante. Ritrova qui i pezzi di artiglieria da novanta che gli ricordano quelli tedeschi, visti da bambino sulle alture di Gimigliano. Nel 1959, in aprile, è fra i candidati al concorso indetto dalla Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno. Il primo ottobre di quello stesso anno entra in servizio fra i nuovi assunti. Prima destinazione la filiale di Grottammare. Ci resterà tre anni. Da pendolare viaggia in Littorina fino alla stazione di San Benedetto e da lì, in autobus, fino a destinazione. E ritorno la sera. Con sportelli regolarmente aperti anche al pubblico di sabato. Quando tutti i conti si facevano a mano, con l’ausilio della sola calcolatrice meccanica con la manovella. In Carisap fa tutta la trafila dei servizi. Una esperienza ad ampio spettro preziosa che gli tornerà utile per scalare l’organigramma aziendale. Da impiegato di seconda fino a capo contabile. Addestrerà anche i nuovi assunti come docente nell’apposito corso che la banca organizza prima di schierarli agli sportelli.

 

Alberta e Pietro il giorno del matrimonio

L’INCONTRO CON ALBERTA

 

Lui la nota passare in Piazza del popolo mentre entra nel Caffè San Marco. E’ il 1964. Chiede di lei a comuni conoscenti. Si chiama Alberta Pompei. E’ di Monterubbiano, dove i genitori hanno le autolinee che collegano la cittadina con Fermo e Roma. La loro conoscenza però inizia nel peggiore dei modi. Al loro primo appuntamento Pietro, trattenuto da improvvisi e importanti impegni, non si presenta. Lei si arrabbia, ma poi perdona. Si sposano nell’aprile del 1966 al santuario dell’Ambro. Il fratello Vito, frate cappuccino, ne è, in quel periodo, rettore. Una cerimonia semplice per pochi intimi. Solo ventiquattro invitati. Una caratteristica, la semplicità, l’essenzialità, che sarà costante della sua vita. Pietro e Alberta avranno tre figli maschi. Nel 1969 nasce Claudio, Mauro nel 1976 e Giorgio nel 1980. Conseguiranno la laurea tutti. Rispettivamente in Economia e Commercio, Scienze Forestali e Ambientali e Scienze della Comunicazione. «Io non ho dovuto fare sacrifici per mantenere all’Università tutti e tre i miei figli – dice Pietro – lavoravo, e guadagnavo bene. Potevo permettermelo. Per i miei genitori invece è stata molto più dura permetterlo a me. La laurea? Non ho mai avuto il tempo, nè sentito la necessità del titolo. Ragioneria, diritto, tecnica bancaria erano pane quotidiano per i miei denti, e ne ho potuto fare volentieri a meno».

 

Alberta il giorno del matrimonio con i genitori di Pietro

UNA VITA IN CARISAP

 

«L’esperienza che ho fatto al servizio di Credito su pegno – racconta Pietro – è stata fra le più forti. Veniva sempre una sarta ad impegnarsi, per pochi giorni, la biancheria dei clienti. Con le poche lire ricavate poteva così far ripartire ogni volta la figlia verso l’università che frequentava a Camerino. Una volta venne una signora ad impegnare il servizio di bicchieri migliore di casa, quello con il filino dorato su bordo. Gli dissi che non potevo accettarli, perchè erano un bene corruttibile, come si diceva, soggetto cioè a deterioramento. Si mise a piangere. Mi raccontò della figlia ricoverata all’ospedale di Ancona, e lei non aveva i soldi per raggiungerla. Trovai subito l’unica maniera che avevo per aiutarla. Ma c’erano anche quelle che venivano a impegnarsi la pelliccia per andare ai veglioni di Carnevale. O, meglio, per non esporsi ci mandavano le loro donne di servizio». Pietro si guadagna presto la stima dei superiori, e fa carriera. Al terzo tentativo vince il concorso interno per funzionario. «Fare l’ispettore mi piaceva – ricorda sempre Pietro – ma era un mestiere delicato, a volte antipatico. Dovevi fare le pulci ai colleghi, e quando affioravano illeciti nasceva un caso di coscienza. Non potevi chiudere gli occhi, sorvolare. In quelle occasioni mi capitava di non dormirci la notte, perchè quei direttori sarebbero finiti nei guai anche a causa di quel rigore che era il primo dei miei doveri. La Cassa di Risparmio mi ha dato tanto, e io ho dato tanto alla Cassa di risparmio. Non l’ho mai tradita, e ho amato il mio lavoro».

 

Pietro e Alberta negli anni ’80 con i tre figli

SOLDARIETA’ E SINDACATO

 

A partire dai primi anni Sessanta Pietro si impegna molto anche nel sociale. «La signora Gina Barnabei dice Pietro – benestante, aveva un figlio disabile. Spese cento milioni di tasca propria per acquistare la prima sede dell’Anffas. L’Associazione Nazionale di famiglie e persone con disabilità. Ci sono rimasto per vent’anni come contabile. Sotto la presidenza della benemerita Barnabei, e, successivamente, con Ugo De Santis, già sindaco di Ascoli».

Non solo. Insieme ad alcuni altri colleghi Pietro è fra i fondatori del primo nucleo sindacale locale dei bancari Fib, aderente alla Cisl. Sono gli albori del movimento. «Le quote associative degli iscritti – racconta Bachetti – le andavamo ad incassare casa per casa. E poi c’erano gli incontri, le riunioni, i congressi. Con tutte le cose che avevo da fare ho dovuto trascurare, forse un pò troppo, la famiglia. I figli soprattutto. Per fortuna ho avuto sempre accanto a me una donna davvero eccezionale. Mia moglie Alberta mi ha sempre compreso, ed ha saputo sempre ben supplire alle mie prolungate e ripetute assenze legate ai miei molteplici impegni. Senza cellulari e computer. Appuntamenti annotati a penna sull’agenda. Tutto a mente. Siamo insieme da sessant’anni tondi ormai. Lei è stata fra le fortune più grandi della mia vita».

 

LA CAMPAGNA DI PIANE DI MORRO

 

Fra le imprese locali che si avvarranno dell’esperienza professionale, contabile e finanziaria, di Pietro anche la Simet, poi Sme, di Agostino Tabani. Lo chiamano per rimettere ordine nei conti. Pane per i suoi denti. E’ il 1967. Una collaborazione che durerà per oltre un decennio. In quella azienda Pietro conosce uno dei suoi amici più cari. Emidio Luzi. Insieme, accomunati delle stesse radici contadine e dall’amore per la terra, condivideranno con gioia, per un quarto di secolo, le fatiche agricole fra le colture dell’orto di Piane di Morro. Qui, nel 1974, nella campagna ancora vergine, ma destinata alla gigantesca colata di asfalto e cemento che arriverà nei decenni successivi, Pietro acquista un appezzamento di terreno fabbricabile. Il papà Nazzareno si è spento l’anno prima. Ma così, forse, continua a vivere anche lui, nel silenzio e fra i profumi di quella campagna. In attesa di tirare su la casa inizia, intanto, a coltivarci subito un vasto orto insieme ad Emidio. Sarà una grande amicizia la loro, che durerà per sempre. E quella casa, tempio di condivisione, si riempirà spesso di allegre comitive di amici e parenti, con Pietro sempre puntuale e amabile anfitrione.

 

Con gli amici più cari nella casa in campagna

L’IMPEGNO IN FONDAZIONE

 

Quando fa domanda per andare in pensione il direttore della Cassa di Risparmio, Romualdo Cafini, lo convoca. «E’ stata una bella soddisfazione – commenta Pietro – solitamente, in questi casi, non va così». La sua messa a riposo è ancora lontana. La banca ha ancora bisogno di lui. Due anni prima si è scissa. Da un lato la spa per la gestione del credito, dall’altro la Fondazione per gli scopi benefici dell’Istituto. Quando scatta ufficialmente la pensione, il 31 marzo 1994, lui è già responsabile della contabilità finanziaria della Fondazione. Vi resterà fino al 2005.

 

La famiglia al completo nel giorno del matrimonio di Mauro nel 2009

«Per la ristrutturazione dello storico Caffè Meletti – ricorda sempre Pietro – nacque un consiglio di amministrazione ristretto che vedeva il dottor Tavoletti commercialista, Gentili imprenditore edile per l’esecuzione materiale dei lavori, e me in veste di responsabile contabile finanziario». I quattro miliardi di lire che la Fondazione spende per la completa ristrutturazione del monumento ascolano appena acquisisto, passano tutti dalle sue mani. «In Fondazione – dice Pietro – ho avuto il privilegio di lavorare con due grandi presidenti, come FrancoSpalvieri e Vincenzo Marini Marini». Nei primi anni Duemila con il fisiatra Franco Scaramucci costituisce l’associazione benefica intitolata alla memoria di  Fabrizio Alessandrini. Iniziativa naufragata nel volgere di un decennio di fronte all’impossibilità di reperire una sede. Bachetti figura anche al fianco del dottor Raffaele Trevisonne nelle iniziative benefiche a favore dell’Airc. La solidarietà, altra costante della sua vita.

 

Insignito dell’onorificenza di “Maestro del Lavoro” nel 1995

MAESTRO DEL LAVORO

 

Nel 1995 gli conferiscono l’onorificenza della “Stella al merito Maestro del lavoro”. Dopo qualche mese il console Federico Laganà lo chiama a dare una mano in amministrazione. Sarà prima  tesoriere e poi revisore dei conti per ventotto anni. Numeri e conti, quadrature e bilanci, continuano a caratterizzare ed accompagnare tutta la sua vita.

Quando lascia definitivamente, nel 2022, lo nominano presidente emerito della associazione provinciale. L’Africa è un continente che ritorna nella famiglia di Pietro. Il padre, come detto, vi combattè. Il figlio Claudio ha vissuto sei anni in Mozambico con la sua famiglia, come missionario laico.Oggi è presidente provinciale delle Acli. Mauro, il secondogenito, vive ormai, invece, da diciotto anni in Camerun dove è responsabile di una impresa di spedizioni nel settore del legname. Alla grande festa per i novant’anni di Pietro Bachetti saranno in tanti. Tutto il ricavato delle regalie sarà destinato in beneficenza. I suoi cinque nipoti, Chiara, Serena, Luca, Sofia ed Alice, conoscono già le tante storie della sua lunga vita. Di cui devono far tesoro. C’è tanto da imparare. Soprattutto da uno come il nonno, che i colleghi vollero salutare, commossi, alla cena di addio per la sua pensione con questa dedica. “Ciao Pietro, ti ricorderemo come l’unica persona che sorride, il lunedì mattina”.

 

 

SE VI SIETE PERSI “LE STORIE DI WALTER LUZI”…..

 

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